“The Woddafucka Thing”: Gianluca Vallero racconta il cuore ruvido di Berlino
Gianluca Vallero, vincitore del premio Brema come miglior “produzione in lingua tedesca”, rappresenta Berlino partendo dalle difficoltà comunicative di chi la abita
Gianluca Vallero, regista italiano vincitore del premio Brema 2022 come “miglior produzione in lingua tedesca”, ci racconta della sua esperienza berlinese, personale e cinematografica.
Dopo intense peregrinazioni stilistiche, decide di approdare al lungometraggio, attraversando Berlino con il mezzo che conosce meglio: la lingua. Il rapporto del regista con la lingua tedesca è endemico al suo percorso formativo: ha studiato germanistica approdando a Berlino negli anni 90′.
Berlino, pre e post muro, apre le prospettive di Gianluca, trasformando in un motore creativo quell’incomunicabilità che caratterizza il rapporto tra la città e gli italiani che la abitano.
La lingua tedesca, infatti, negli anni in cui Gianluca Vallero arrivò a Berlino, era un presupposto fondamentale per interagire con le persone e lo spazio berlinese. Il tedesco, adesso, assume un valore diverso nella visione del regista, che legge il limite tra la lingua ed il suo ruolo chiarificatore. L’incomunicabilità è, infatti, il motore della storia di “The Woddafucka Thing”.
Gianluca Vallero ha esperienza da reporter radiofonico, che si riflette nelle sue scelte narrative, che danno molta importanza alla parola, la cui immagine ne è una diretta conseguenza.
Il Film che segue l’incomprensione per spiegare l’integrazione
La collaborazione con l’attore Carlo Loiudice, ha inizio prima del film e prima del reale incontro tra i due, con la scrittura del personaggio protagonista che, a detta del regista, è stato costruito “a misura” sull’attore. L’abito sociale dell’italiano a Berlino, che non conosce bene la lingua, è una caratteristica su cui il regista fa leva, creando nel film una dimensione iper-reale frutto di una “imperfezione cinematografica”. Vallero, infatti, accetta il compromesso recitativo, nel quale Loiudice non sa parlare bene il tedesco, che è anche la caratteristica del personaggio che interpreta.
Costretto in una lingua non sua, Loiudice, incarna lo stereotipo non generalista dell’italiano a Berlino che non padroneggia completamente la lingua. Questa caratteristica nasce prima del film in quanto, prima l’attore, poi il personaggio non sanno effettivamente bene il tedesco.
“Negli anni 90 il tedesco, per vivere a Berlino, era necessario. Anche adesso gli italiani a Berlino non sono in grado di integrarsi a causa della lingua” dice il regista parlando della centralità della lingua tedesca dietro il suo film.
Un cast su misura veste la storia con Sweetie, la protagonista interpretata da Dela Debulamanzi, Gino e Ninja, rispettivamente interpretati da Carlo Loiudice e Marc Philipps.
Il bianco e nero è stata una scelta estetica che influenza anche la maturazione di un film. L’obbiettivo era, infatti, di spostare il film su d’un piano di valutazione a-temporale. In questo modo, il gancio con la realtà è più forte perché sembra passare dalla realtà ma già come materiale di archivio.
La rapina è il motore delle interazioni tra i personaggi. Questa non si vede mai ma si sente in tutto il film. Spinge i personaggi a fare cose, a compiere azioni ma non è oggetto nel film, è il verbo. Il film si veste da “gangster movie” alludendo al genere soltanto come pretesto.
Gianluca Vallero: il regista
Dopo un percorso di studi in germanistica, si trasferisce a Berlino e scopre il cinema. Precedentemente reporter radiofonico, Gianluca scopre il valore dell’immagine nella narrazione. Si forma in bottega (adoperandosi alla disciplina cinematografica), senza avere fatto studi specifici, ma avendo consolidata la problematica della comunicazione, provenendo da studi linguistici.
Un percorso da “artigiano” del cinema, a dimostrazione che non è necessario lo studio cinematografico per essere un buon regista.
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