Shark Island, la bella isola della Namibia trasformata in campo di concentramento tedesco dal Reich

Shark Island: il genocidio dimenticato del ventesimo secolo

Shark Island è stata fondata nel 1795 al largo della costa di Luderitz, in Namibia. Originariamente chiamata Star Island, il territorio rimase per un secolo in mezzo al mare, prima di essere collegato alla terraferma e, tra il 1904 e il 1908, fu utilizzato dai tedeschi come brutale campo di concentramento.

L’occupazione della Namibia

Come molte altre nazioni europee, durante il XIX secolo la Germania fondò diverse colonie in Africa. Nell’attuale Namibia, gli abitanti nativi tra cui i popoli Herero, Nama e Khoikhoi, cercarono di resistere al potere tedesco.
I coloni provenienti dalla Germania si insediarono sul territorio africano e appropriarono quantità sempre più crescenti di terra e risorse, sfruttando il lavoro forzato e schiavizzato delle popolazioni autoctone.
Ciò accadde perché, nonostante la resistenza degli Herero, i tedeschi disponevano di maggiori risorse, che utilizzarono per annientare le popolazioni dell’Africa sud-occidentale.

Il campo di concentramento di Lüderitz

Il 12 gennaio 1904, sotto la guida di Samuel Maharero, il popolo Herero si ribellò al dominio coloniale tedesco, uccidendo oltre cento coloni tedeschi nelle vicinanze dell’attuale città di Okahandja.

In risposta, l’Impero tedesco incaricò al generale Lothar Von Trotha di porre fine alla rivolta. Quest’ultimo, dopo il suo arrivo in Namibia, ordinò ai suoi soldati di accerchiare gli Herero su tre lati, costringendoli ad utilizzare l’arida steppa di Omaheke come unica via di fuga. Lì l’esercito tedesco avvelenò i pochi pozzi d’acqua presenti e sparò a vista sul popolo degli Herero, che si trattasse di uomini, donne o bambini.
I sopravvissuti furono portati in un campo di concentramento a Shark Island, che divenne presto nota come “Isola della Morte” a causa delle sue condizioni brutali.

Gli orrori di Shark Island

Oltre alla privazione di cibo e acqua, i prigionieri del campo venivano brutalmente utilizzati dai tedeschi in esperimenti scientifici razziali. Il medico dell’isola, il dottor Bofinger, condusse test medici che molto probabilmente ispirarono quelli di Josef Mengele, ovvero “l’angelo della morte” nazista degli anni quaranta.

Bofinger condusse esperimenti disumani, come quello di verificare se lo scorbuto, una malattia causata dalla mancanza di vitamina c, fosse contagioso. Per verificare ciò, iniettò ai prigionieri di Shark Island sostanze come oppio e arsenico.
Purtroppo le atrocità non finivano dopo la morte dei prigionieri, i quali cadaveri venivano trasferiti in Germania per ulteriori esperimenti.

La situazione attuale

Il campo di concentramento di Shark Island fu chiuso nel 1907, dopo che la tribù dei Nama si arrese ufficialmente ai tedeschi. Dopo la sua chiusura, si stimò che nei due anni in cui fu aperto circa 3000 persone Herero e Nama morirono nel campo. Statisticamente parlando, più dell’80% dei prigionieri portati sull’isola non la lasciarono in vita.

Ad oggi, Shark Island è stata dichiarata sito storico-culturale nazionale. Lì si erige un monumento commemorativo per  ricordare le vittime  del genocidio perpretato dalle forze coloniali tedesche. Si pianifica, inoltre, la fondazione di un museo in loco. In riconoscimento della cultura del ricordo e della riverenza delle vittime del genocidio, si è proposta l’attribuzione della nomea di “spazio sacro” all’intera isola. Qui si inviterebbero i visitatori ad una contemplazione rispettosa della storia, impegnandosi insieme per la prospettiva di un futuro pacifico e senza discriminazioni.

Leggi anche: La Germania per la prima volta si scusa e ammette il suo ruolo nel genocidio in Namibia

Studia tedesco a Berlino o via Zoom con lezioni di gruppo o collettive, corsi da 48 ore a 212 €. Scrivi a info@berlinoschule.com o clicca sul banner per maggior informazioni

Non perderti foto, video o biglietti in palio per concerti, mostre o party: segui Berlino Magazine anche su Facebook, Instagram e Twitter

Immagine di copertina: screenshot di youtube