Ho passato una serata all’AVA Club
L’AVA club: il mio primo club berlinese. Mettersi in discussione, a Berlino, passa anche attraverso la techno
Articolo di Camilla Ferello
Sono stata per la prima volta in un club di Berlino, all’AVA Club. Non sapevo esattamente cosa aspettarmi, non avevo la più pallida idea di come avrebbe potuto essere una serata come quella. In compenso, avevo sentito tanti racconti sui club berlinesi, unici nel loro genere, eccentrici, liberi, dove la techno diventa la regina della musica per tutta la notte. Quella sera continuavo a chiedermi: ma come si può ballare la techno? Come ci si muove? Come si possono seguire un ritmo e un beat sempre uguali per ore? Mi chiedevo se fossi vestita nel modo giusto, se fossi nelle condizioni anche solo per entrare in un club, visto che è sempre una scommessa. Insomma, sarebbe stata un’esperienza totalmente a scatola chiusa.
Delusa, poi confusa, poi disorientata: fino a qui, tutto bene
Appena entrata, la prima reazione è stata in realtà di forte delusione, poiché teoricamente la prima sala avrebbe dovuto essere un giardino esterno, che tanto giardino poi non era e anche la musica ammetto che non fosse un granché. Se l’atmosfera all’ “esterno” era abbastanza blanda, quella all’interno era carica di energia: gente che andava avanti e indietro in continuazione, sudatissima e carichissima dopo aver ballato. I primi pensieri sono stati un misto tra “cosa ci faccio qui” e “però, che figo questo posto!”. Mi sentivo un po’ fuori luogo, non mi sentivo particolarmente a mio agio e ho avuto bisogno di un po’ di tempo per ambientarmi. La prima sala interna in cui siamo entrati è stata quella con musica house, di cui sono stata molto contenta per i primi dieci minuti, ma dopo un paio di brani effettivamente la musica era diventata abbastanza ripetitiva e noiosa. Anche gli amici che erano con me non erano affatto soddisfatti, per cui ci siamo spostati nella sala techno, anche se io in cuor mio non volevo affrontare quello che mi sarebbe aspettato in quella sala.
Ed ecco come perdere l’orientamento nel giro di due secondi: entrare nella sala techno. Una sala completamente buia, la vista totalmente annebbiata dal fumo e ingannata dai giochi di luci. Quasi si faceva fatica a distinguere le persone, si vedevano a scatti, definite solo dal ritmo delle luci. Ognuno ballava per sé, indisturbato e non curante degli altri, muovendosi come la musica suggeriva.
Per capire la “musica” è necessario non farsi domande
Anche io poi ho iniziato a ballare. Inizialmente mi sentivo un po’ impacciata, non sapevo bene come muovermi, dove mettere le braccia. Sentivo il peso che si spostava da una gamba all’altra, tutto sulle ginocchia e le braccia che penzolavano al ritmo delle mie gambe. Quella iniziale è stata davvero una sensazione strana perché la volontà di controllare che i miei movimenti andassero a ritmo di musica era dominante. Spostavo il peso del mio corpo cercando di inseguire quel beat che però cambiava imprevedibilmente e da un momento all’altro mi ritrovavo ferma, in piedi, a guardare la postazione del dj per cercare di ritrovare un senso al mio ballare. Non c’era però parte del corpo che ritrovasse davvero un senso, né le braccia né le gambe. Non riuscivo a essere fluida, mi sentivo scattosa, rigida. Mi è sembrato come se braccia e gambe si inseguissero alla ricerca di un movimento che riuscisse a metterle d’accordo. Per non parlare della testa. Quale parte avrebbe dovuto seguire, non lo sapevo neanche io.
I primi minuti sono stati davvero frustranti: mi fermavo ogni trenta secondi perché non mi sembrava di muovermi nella maniera giusta. Mi sentivo fuori luogo, non riuscivo a seguire il ritmo, o almeno, la mia testa non ci riusciva.
La musica ordina, i pensieri confondono
Poi ho chiuso gli occhi e mi sono lasciata andare. Ho provato a seguire quel beat, a sciogliere gambe e braccia, a fregarmene delle persone che avevo intorno e farmi trasportare solo ed esclusivamente dalla musica. Ho iniziato a sentire la mia mente liberarsi, il mio corpo sciogliersi e muoversi senza che io lo comandassi davvero. Era la musica che lo guidava. Gambe e braccia si muovevano senza un senso preciso, i movimenti cambiavano al cambiare del beat, coinvolgendo pian piano tutto il mio corpo. Mi piegavo in avanti, per poi rialzarmi; muovevo le braccia in alto, poi all’altezza del petto muovendo anche le spalle, per poi farle tornare lungo il corpo oscillando. La testa seguiva prima le mani, poi i saltelli sulle mie ginocchia. Ho smesso di pensare, ho lasciato che il mio corpo prendesse il controllo su tutto il resto. Ho provato un senso di libertà assoluta, nel movimento, così come in me stessa.
Durante la serata sono rimasta particolarmente sorpresa da come ognuno avesse il proprio spazio per muoversi e da come gli altri rispettassero ognuno gli spazi dell’altro. È stato strano perché nelle discoteche italiane siamo abituati a portare avanti una continua guerriglia per cercare di mantenere un minimo di spazio vitale per ballare, formando addirittura delle “cerchie” tra gruppetti, per marcare la conquista.
Un bilancio positivo, nonostante il Club
Se dovessi fare un bilancio di quella serata, direi di ritenermi comunque soddisfatta. Ho provato un’emozione così forte, che, nonostante a detta degli altri miei amici l’AVA Club non sia un club poi così speciale, a me è piaciuto molto. Prima di allora non avevo però un metro di paragone con altri, per cui, dopo averne frequentati un paio, posso in realtà confermare che l’AVA Club non fosse niente di troppo speciale, sia per la musica, che per l’ambiente in sé. Nonostante ciò, ne avrò sicuramente un bel ricordo: in fondo, rimarrà pur sempre il mio primo club.
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