Come sono riuscita a curarmi in Germania e a salvarmi la gamba

La storia di Valeria: la capacità di affrontare una malattia invalidante e le cure ottenute in Germania

di Valeria Sanzone @scomoda_amica_mia 

Questa è la storia di Valeria, di quella parte scomoda della sua vita con cui ha dovuto imparare a fraternizzare, ma anche del suo “amore a seconda vista” per la Germania, paese che le ha permesso di curarsi.

La scoperta della malattia

Sin da bambina ho avuto una predilezione per la cura del mio corpo, interesse iniziato intorno all’età di 8 anni, e proseguito sino alla pubertà, quando però iniziò a cambiare e a trasformarsi repentinamente in quello di una giovane donna. All’età di 11 anni i miei fianchi cominciarono a delinearsi, si formò la prima cellulite, e fu da lì che non mi piacqui più. Cominciai a vergognarmi del mio corpo e a camminare con le spalle curve per nascondermi. Nonostante la mia attenzione all’alimentazione e attività fisica, per me diventò un’abitudine vestirmi con maglioncini e giacche attaccate alla vita per sentirmi più sicura e nascondere le curve. Arrivai addirittura ad indossare al mare dei ridicoli parei lunghi per nascondere quel corpo che tanto odiavo. Nonostante ciò, la mia vita proseguiva normalmente da persona spensierata, non sapendo ancora cosa avesse in serbo per me il futuro.

Il confronto diretto con la mia malattia iniziò nel lontano 2009, all’età di 26 anni, quando episodi sporadici ed isolati mi costrinsero a recarmi in pronto soccorso. In quel periodo il piede di tanto in tanto si gonfiava come un pallone per poi ritornare normale, come se nulla fosse accaduto. Fu però nel 2011 che capii che quegli episodi non sarebbero più stati sporadici, perché diventarono sempre più frequenti, violenti e dolorosi. Nell’agosto del 2011, al matrimonio di una delle mie sorelle, la gamba sinistra aveva assunto la forma di una colonna, dura come il marmo. Nonostante il dolore e il gonfiore, non mi preclusi di indossare il meraviglioso vestitino verde smeraldo appena sopra le ginocchia e le scarpe con il tacco che avevo comprato. Ma a metà giornata il piede non riuscì più ad entrare nella scarpa, costringendomi a mettere delle infradito che avevo portato con me.
Sinceramente non ero molto preoccupata dell’aspetto che la mia gamba aveva assunto in quel momento, perché ingenuamente pensai che fosse solo un episodio passeggero. Non potevo mai immaginare che dopo 9 mesi di tregua la mia vita sarebbe cambiata per sempre.

Nel giugno del 2012 la gamba iniziò a gonfiarsi in maniera spropositata, non tornando mai più come prima. Ricordo ancora la frustrazione per quel cambiamento assurdo ed inspiegabile, quell’amarezza legata all’andirivieni negli ospedali senza riuscire a trovare nessuna risposta a quello che mi stava accadendo. Solo quando arrivai al San Martino di Genova riuscii a capire cosa avevo, mi diagnosticarono un “linfedema primario” (malattia cronica ed invalidante) all’arto inferiore sinistro. I medici allora mi suggerirono di eseguire un intervento di microchirurgia conosciuto come “anastomosi linfo-venosa“. Il mio istinto, tuttavia, mi suggerì di non fidarmi di un’improbabile operazione chirurgica “miracolosa”, così decisi di non affrontarla.

Fu allora che, dopo innumerevoli peripezie e visite costose, arrivai in Germania.

L’arrivo in Germania: una concreta speranza

Il nove marzo del 2013 alle ore 20:00, accompagnata da mio padre, arrivai nella stazione di un piccolo paesino della Foresta Nera. Ricordo ancora la neve e il freddo che io da siciliana non ero abituata né a a vedere né a sentire, quel brusio di parole che non riuscivo a capire e che mi faceva sentire tanto lontano da casa.
All’epoca il primo impatto con la Germania non fu dei migliori. Ero stanchissima a causa del viaggio e della gamba dura come il marmo, non riuscivo a comprendere nulla e vedevo tutto confuso, ricordo solo che mi veniva da piangere e volevo tornare a casa. Alla reception trovai una signora bionda, occhi cerulei, fredda proprio come quella sera, che parlava solo tedesco e un incomprensibile l’inglese. La situazione non migliorò nemmeno quando fui chiamata alla visita medica. Quel giorno fui accolta da una dottoressa di origini russe che parlava un inglese veloce e medico difficile da comprendere.

L’impatto con i tedeschi non fu dei migliori, ma il mio amore per la Germania fu un vero e proprio “amore a seconda vista”. Mai avrei immaginato di poter amare quella lingua che tanto mi parve ostica e che mi ha portato, in seguito, persino a fare dei soggiorni linguistici estivi in Germania.

Grazie alla clinica cominciai quelle terapie che tra linfodrenaggi manuali, bendaggi, terapia fisica decongestionante ed esercizi specifici per far defluire meccanicamente la linfa, mi salvarono letteralmente l’arto inferiore sinistro. Sono ancora oggi convinta che se non avessi avuto l’ostinazione di uscire dall’Italia e trasferirmi in Germania per curarmi,  grazie anche alla perseveranza delle mie sorelle, ad oggi la mia condizione sarebbe sfociata in una elefantiasi grave, che mi avrebbe costretta ad una soluzione di allettamento.

Per la prima volta, dopo mesi di sofferenza, non mi sentivo più sola. Non ero più diversa ed inadeguata perché in clinica trovai tanti pazienti che versavano nella mia condizione. Avevo la speranza che la mia gamba potesse ritornare quasi alla normalità, ma anche quella fu un’illusione momentanea.

La forza di accettare la malattia

Il vero periodo “scomodo” della mia vita iniziò proprio con la consapevolezza che non sarei più tornata come prima, ma che avrei dovuto portare il fardello di una gamba che non avevo voluto. Iniziai ad odiare quel corpo mi aveva nuovamente tradita perché mi costringeva nuovamente a nascondermi. Questa volta, però, non avrei avuto nessun pareo che avrebbe nascosto quelle imperfezioni.

Con il passare inesorabile del tempo capii che quella gamba mi avrebbe accompagnata ogni secondo della mia vita e che questo avrebbe influito non solo a livello estetico, ma anche funzionale, dal momento che il mio arto inferiore sinistro pesa quasi il doppio di quello destro.

Sorrido ancora amaramente pensando che per un intero anno mi addormentavo e mi svegliavo con l’illusione che quella gamba fosse solo un brutto sogno. Oggi so che questa è la mia realtà e che questa sarà la mia perenne condizione. Ho passato dei brutti periodi isolandomi dalla vita sociale, come se così facendo la mia condizione potesse cambiare.

Oggi sono qui a scrivere della mia storia perché il tempo mi ha donato la consapevolezza del mio corpo e di me stessa. Ad oggi sono diventata quella persona che se non trova le scarpe della sua misura è capace di ironizzare, comprandone due paia di misure diverse. Sono quella persona che ogni giorno indossa delle calze di quinta compressione (indipendentemente dalla stagione), per la precisione 2 calze l’una sopra l’altra, ed effettua un bendaggio ogni sera prima di andare a letto. Sono dovuti passare 10 anni per riuscire ad accettare la mia situazione, per riuscire a parlarne e soprattutto a non vergognarmene.

Adesso riesco ad accettarmi per quella che sono, senza nessuna vergogna. Le malattie non si scelgono, vengono e basta, e non possiamo permettere loro di spezzare le ali della nostra vita. Anche chi ha il linfedema deve riuscire a volare e a cavalcare le avventure che questa vita ci sa donare. Nonostante ciò, riesco ad essere autoironica, credendo che sia stata proprio la mia autoironia, nonostante tutto, a salvarmi.

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