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Breve storia della techno: da Detroit a Berlino

La techno sta diventando un fenomeno mondiale, e ci si chiede come sia nata. Non tutti sanno che la madre è Detroit

Più la techno si espande e diventa mainstream, più cresce la curiosità per le sue origini. La techno a Berlino è più forte di una religione: oltre alla spiritualità e all’ascesi che nasce dal consumo di droghe, è uno dei momenti più inclusivi e aggregativi della città. Gente diversa si trova nei club tutti i weekend, giorno e notte, e balla al ritmo della techno come i fedeli cantano all’unisono l’Alleluia domenicale in chiesa. Dopo aver visto più di 200.000 persone sfilare a Berlino lo scorso sabato per preservare la cultura dei club, perché non parlare un po’ di come è nata? Ecco quindi una breve storia della techno.

La capitale della techno, Berlino, non è in realtà che la sua madre adottiva: la madre biologica è Detroit

Prima dell’89, mentre Berlino Est viveva un regime di rigido controllo della vita quotidiana, Berlino Ovest godeva di una libertà sempre maggiore. Nella nascente globalizzazione della Germania Ovest, la possibilità di movimento da oltreoceano vide arrivare una musica elettronica ancora embrionale. Nell’89, poi, la caduta del muro partorì una techno che scoppiò di freschezza con la Berlino unita degli anni ’90.

L’eliminazione della cortina di ferro ha creato più spazio in città e ha riqualificato zone in cui la Guerra Fredda si combatteva ogni giorno, come la striscia della morte di Potsdamer Platz in cui il Tresor è stato fondato subito dopo. A trent’anni dalla sua fondazione, il Tresor (che ora si è spostato a Mitte) è ancora considerato epicentro e Altissimo Padreterno della techno, ma “technicamente” non è così. Non è un caso che il locale sia nato dove fino a poco prima c’era il confine tra l’Est e l’Ovest del mondo, ma la colonna sonora di Berlino ha anche un Genitore 2.

Detroit: la Madonna nera della techno

Detroit è conosciuta per la sua industria automobilistica e la sua scena musicale. Ma non tutti sanno che è proprio lì che è nata la musica techno.

Col declino dell’attività industriale causata dalla robotizzazione delle mansioni, la comunità nera ha cominciato a cercare nuovi sound. Non era qualcosa di costruito ma qualcosa di sbocciato naturalmente, come una lingua. Mixavano la musica elettronica europea coi beats dance afroamericani, per creare un’atmosfera di afro-futurismo e un sound da science-fiction.

Ecco perché si chiama techno: ha qualcosa di robotico ma può essere anche un po’ minimal, può essere aggressiva o può essere chill.  “Sono le macchine che creano questi suoni spaziali” dice Ellen Allien, il cui nome rimanda proprio all’alienità di questa musica e che è considerata uno degli Apostoli del genere. Si chiama techno perché è tecnologicamente avanzata; allo stesso tempo, techno vuol dire qualcosa di diverso per ognuno, che non significa solo consumo sfrenato di droghe ma anche musica, atmosfera e libertà.

A differenza della house, la techno esplose coi beat che risuonavano dai sotterranei dei locali. Era qualcosa di underground nel vero senso della parola, ma quando migrò a Berlino, alla caduta del muro, perse un po’ della sua segretezza.

Berlino ora è Padre e Figlio di Detroit

Alla caduta del muro, tanti artisti di Detroit volarono a Berlino per modellarla e farla a sua immagine e somiglianza, fino a farla diventare la “capitale della techno”. Da Jeff Mills a Juan Atkins, i locali iniziarono a ospitare DJ dalla decadente metropoli americana e a costruire la scena della città fenice che risorgeva dalle ceneri. L’immigrazione e il melting pot hanno creato quello che ora è considerato “the sound of Berlin”, e questo dato fa parte anche del suo messaggio politico: non ci sono dèi e rockstar fisicamente rialzati, ma una comunità di persone uguali che balla al ritmo dei beat.

A Berlino, però, il contesto era ovviamente diverso, e il suo sex appeal senza sonorità sensuali e parole da flirt respinsero la comunità nera berlinese e attirarono quella più mainstream o turistica, soprattutto con la nascita della house. La Love Parade (1989-2006), antenata della Rave the Planet Parade della settimana scorsa, portò la musica techno tra le strade con centinaia di migliaia di visitatori-ravers ogni anno (nel 1999 addirittura un milione e mezzo di persone). Oggi la techno è un fenomeno mondiale.

La techno però vuole tornare a essere una setta

Più la techno diventa commerciale e viene riconosciuta a livello istituzionale, più i club vogliono tornare a quel piccolo eden underground in cui sono nati. Oggigiorno nella capitale tedesca c’è una Commissione Club patrocinata dallo Stato e dall’UE che si occupa di trovare gli spazi per i club, preservarne la cultura e garantire l’inclusione delle minoranze. E’ un Papa che dopo anni di religione naturale si è appropriato della nomina di capo spirituale.

D’altra parte, ultimamente, lo stesso comune di Berlino ha parlato di sgomberare alcuni club per costruire un’autostrada, dando loro come “contentino” uno spazio più grande e meno centrale in cui accentrare il pubblico e accogliere più gente. Ma i club più genuini sono quelli più piccoli e più underground, sono spazi nascosti e raggiungibili con passaparola, in cui si sperimenta nuova musica e ci si tiene fuori dalla gentrificazione e dal turismo di massa.

La costruzione di nuove discoteche acchiappaturiste potrebbe rendere la selezione all’ingresso ancora più feroce. Dividere tra club commerciali e club underground toglierebbe inclusività alla techno, che invece era nata proprio dall’occupazione di spazi per tutelare le diversità e le minoranze.

La libertà acquisita dal KitKat, però, non può retrocedere davanti alla recensione negativa di un turista che ne esce scioccato.

 

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