I versi satanici di Salman Rushdie, la travagliata storia della pubblicazione in Germania
L’opera fu al centro di un tentativo di censura dell’Ayatollah Khomeini, che nel 1989 chiese la morte dell’autore e delle persone coinvolte nella pubblicazione
Il nome di Salman Rushdie, autore indiano naturalizzato britannico, è tornato in occasione dell’assegnazione del Nobel della letteratura del 2022, poiché nel numero dei possibili vincitori. Il premio è stato assegnato infine all’autrice francese Annie Ernaux.
Salman ha iniziato a scrivere fin da giovanissimo e negli anni ha pubblicato romanzi che hanno saputo appassionare lettori di tutto il mondo come I figli della mezzanotte (1981) e Versi satanici pubblicato nel 1988.
Quest’ultimo libro fu oggetto di controversie di natura religiosa, poiché narra una storia fantastica, ma allusiva nei confronti della figura di Maometto. Fu perciò ritenuta blasfema dai Musulmani integralisti. Nel 1989 infatti, circa 6 mesi dopo la prima pubblicazione, l’Ayatollah Khomeini decretò la condanna a morte dello scrittore, reo di bestemmia, che fu costretto a rifugiarsi nel Regno Unito e a vivere sotto protezione.
Dopo 34 anni, quando tutto ormai sembrava finito, il 12 agosto 2022, l’autore è stato aggredito a pugnalate a New York da un giovane 24enne di nome Hadi Matar. Purtroppo la scia di sangue provocata da questo romanzo ha colpito anche persone coinvolte nella distribuzione, motivo per il quale in Germania, per paura di ripercussioni, il libro fu pubblicato successivamente e sfruttando un escamotage.
— Cieloitalia? (@_cieloitalia) August 12, 2022
Il destino di chi pubblicava
Chi ebbe a che fare con quest’opera ne subì le conseguenze. Nel gennaio del 1989, le copie del libro furono pubblicamente bruciate in Gran Bretagna, spingendo le librerie ad interromperne la vendita. Inoltre sempre nello stesso anno, in Pakistan e in India il testo fu motivo di pogrom che provocarono numerose vittime.
Nel 1991 fu accoltellato il milanese Ettore Capriolo nella sua abitazione privata, poiché reo di aver tradotto l’opera in italiano. Fortunatamente l’uomo si salvò ma una sorte peggiore toccò al traduttore giapponese Hitoshi Igarashi, ucciso a Tokyo nello stesso anno. Nel 1993 un’altra vittima fu invece l’editore norvegese William Nygaard, ferito con colpi d’arma da fuoco. Fortunatamente dopo un lungo ricovero fu in grado di riprendersi.
Il caso tedesco
Tre mesi prima della fatwa, la condanna a morte mossa dal leader rivoluzionario iraniano Khomeini, Reinhold Neven DuMont, allora capo dell’editoria di KiepenHeuer & Witsch, aveva acquistato i diritti sul libro per il mercato di lingua tedesca. Presto però si rese conto dell’errore fatto: il testo era maledetto e chiunque ci metteva mano rischiava, e molto. Stando a quanto riferito dall’editor Helge Malchow al Deutsche Welle la condanna aveva paralizzato la casa editrice. Qualcuno voleva pubblicare per far valere libertà d’espressione, altri invece temevano e la ostacolavano; così si decise di attendere, posticipandone l’uscita.
Questa mossa però fu vista da molti, in particolare da Arno Widmann, co-fondatore del quotidiano di sinistra TAZ, come una sconfitta della libertà d’espressione, diritto cardine della società europea. Windmann riassunse il suo pensiero in questa frase “pensavo fosse un crimine non pubblicare il libro”. Così iniziò una lunga battaglia: Widmann fomentava ad alzare la testa contro la censura, criticando aspramente l’editoria in vari articoli e si spinse anche a pubblicare degli estratti nel suo giornale.
La pubblicazione dei “Versi satanici”
Per pubblicare I versi satanici alla fine si ricorse ad un escamotage: molti scrittori, editori e autori, consapevoli delle difficoltà vissute dalla casa editrice KiepenHeuer & Witsch, mostrano la loro solidarietà appoggiando la creazione di una nuova casa editrice chiamata Artikel 19 Verlag, così da poter tutelare i coinvolti e vincere una censura violenta ed insensata.
Il nome della nuova casa editrice era un riferimento all’articolo che nella Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo che garantisce la libertà di parola. I proventi vennero poi donati all’associazione PEN a beneficio degli autori perseguitati. Il nome del traduttore non fu inserito così da proteggerlo, mossa estremamente lungimirante visti poi gli sviluppi della fatwa.
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Immagine di Olaf Simons