Jonas Carpignano: “Con il mio film, A Chiara, voglio raccontare la vera realtà della N’Drangheta”

Il regista Jonas Carpignano ci parla del suo nuovo film, A Chiara, che, insieme alle sue due precedenti pellicole, racconta in un modo nuovo la Calabria, la sua gente e la sua realtà

Il 38enne italo americano Jonas Carpignano è sicuramente uno dei giovani registi  più promettenti nel panorama cinematografico internazionale. Un enfant prodige che, per 10 anni, ha vissuto a Gioia Tauro, città in Calabria, e ha realizzato tre film per raccontare senza filtri e senza nessuna volontà di spettacolarizzazione gli aspetti più spinosi che caratterizzano questa terra e chi ci vive. Una poetica, quella del regista, che si potrebbe facilmente definire come ‘nuovo neorealismo’, citando uno dei generi cinematografici che hanno fatto grande il cinema italiano dal dopoguerra in poi, e a cui Carpignano attinge a piene mani. Se con il primo film, Mediterranea, Carpignano ha raccontato la difficile situazione dei migranti in arrivo in Italia, con la pellicola successiva, A Ciambra, co-prodotta da Martin Scorsese, ha puntato l’occhio sulla comunità Rom che vive in uno dei quartieri più problematici di Gioia Tauro, Ciambra, appunto.

Con A Chiara, terzo capitolo di questa ‘trilogia calabrese’ – presentato trionfalmente al Festival del cinema di Cannes – Carpignano ha invece raccontato il mondo della ‘Ndrangheta, una delle piaghe che affliggono la Calabria. Ma l’ha fatto attraverso uno sguardo particolarmente originale e intimo, quello di una ragazzina di 15 anni, Chiara, figlia di un mafioso che dovrà decidere, nonostante la sua giovane età, la direzione che dovrà prendere la sua vita. A Chiara verrà distribuito nei cinema tedeschi il 23 giugno e, successivamente, uscirà in streaming sulla piattaforma Mubi il 26 agosto.

“Molti film raccontano la ‘Ndrangheta, ma qui noi non la viviamo nello stesso modo. Era importante per me affrontare questo argomento in un modo autentico dal punto di vista di chi veramente vive in questa realtà”

Jonas Carpignano è arrivato 10 anni fa a Gioia Tauro, catapultato in un ambiente molto diverso rispetto agli Stati Uniti d’America, dove aveva vissuto fin da bambino. “A Gioia Tauro sono arrivato quasi per caso, all’inizio non avevo l’obiettivo di realizzare una trilogia. Sono sceso in Calabria per realizzare una pellicola sugli scontri di Rosarno (disordini avvenuti nel gennaio del 2010 tra immigrati, cittadini e forze dell’ordine ndr) che è poi parte della storia di Mediterranea”.

“Ci ho messo talmente tanto a realizzare il film che, nel corso di questo periodo, mi sono costruito una vita a Gioia Tauro. Contemporaneamente a Mediterranea, ho girato un piccolo cortometraggio che poi sarebbe diventato il film A Ciambra prodotto da Martin Scorsese. Non è stata una vera e propria scelta girare questi tre film. Semplicemente, vivendo a Gioia, ho trovato sempre qualcosa che mi ha stimolato e, di conseguenza, ho scritto queste storie.

I soggetti dei film si sono sviluppati via via che passavo più tempo immerso nella comunità locale e nel territorio. Ho metabolizzato le esperienze che ho vissuto, mi sono nutrito dei dettagli di questa terra che poi sono diventati le sceneggiature dei film”.

Swamy Rotolo in A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Productions

Swamy Rotolo in A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Productions

Uno degli aspetti che più colpisce guardando A Chiara è come Jonas Carpignano eviti qualsiasi spettacolarizzazione nel raccontare la ‘Ndrangheta. Se pensiamo a serie tv italiane come Gomorra, il mondo della criminalità organizzata è tratteggiato sulla falsariga dei gangster movie americani, mentre Carpignano sceglie una prospettiva più intima, ma non per questo meno cruda e potente. Anzi. “La verità è che in 10 anni a Gioia Tauro io non ho mai visto sparatorie, mai.

Nel corso degli anni sono venuti a girare vari film o serie tv qui, ad esempio Solo con Marco Bocci prodotta da Mediaset. Ci sono molte pellicole che raccontano la ‘Ndrangheta ma lo fanno in un modo che non rispecchia quello che noi viviamo realmente qui. Per me era quindi importantissimo affrontare questo argomento in un modo autentico dal punto di vista di chi veramente vive vicino questa realtà”.

In A Chiara la giovane protagonista vede sparire improvvisamente il padre, scappato per evitare l’arresto vista la sua appartenenza alla criminalità organizzata. Una scoperta che sconvolgerà Chiara che dovrà decidere che tipo di futuro vorrà costruirsi. La storia come ci spiega il regista, anche in questo caso, nasce da una esperienza reale. “Mi ricordo che nel 2014 una persona che conoscevo  fu arrestata e messa ai domiciliari per associazione a delinquere con la ‘Ndrangheta”.

“Ricordo che la cosa che più mi colpì di quella vicenda fu l’effetto che ebbe su sua figlia che conoscevo abbastanza bene. Lei aveva 8 anni e il suo mondo cambiò da un giorno all’altro. Iniziò a vedere la sua comunità e l’ambiente che le ruotava attorno in un modo completamente diverso, e questa, per me, era la chiave per come realizzare A Chiara. Mi dissi che se volevo raccontare la realtà della ‘Ndrangheta l’avrei dovuto assolutamente fare da questo punto di vista”.

“La storia narrata nel film rispecchia il modo in cui la criminalità organizzata viene vissuta da una persona che appartiene allo stesso tessuto sociale. Non mi interessava realizzare una pellicola che spettacolarizzasse e raccontasse una situazione così complessa dal punto di vista di una persona che lo vede dall’esterno. Volevo fare un qualcosa che era da un punto di vista non lontano da me. Realizzare un’opera più ‘sensazionale’ sarebbe stato un grande sforzo per me proprio perché, appunto, non ho mai visto qualcosa del genere. In quel caso mi sarei dovuto basare su un qualcosa di lontano dalla realtà che ho sempre vissuto qui”.

“Il personaggio di Chiara si è sviluppato e modellato sull’attrice che la interpreta: Swamy Ruotolo. Poi ho deciso di far recitare tutta la sua famiglia”

La ‘verità’ trasmessa dal film è anche data da una particolare scelta fatta da Carpignano. Tutta i parenti di Chiara che vediamo nella pellicola sono la vera famiglia di Swamy Rotolo, la giovane (bravissima) attrice che interpreta la protagonista, che con il regista aveva debuttato in A Ciambra. Un ruolo che le è valso il David di Donatello come miglior attrice protagonista, la più giovane interprete a vincere il prestigioso premio. “Inizialmente non c’era l’idea di far recitare tutta la famiglia di Swamy nel film. Lei era venuta a fare un provino per una piccola comparsata in A Ciambra e, all’epoca, aveva solo 9 anni. In quel periodo A Chiara era solo un’idea, non avevo ancora scritto niente né definito precisamente la storia nei suoi particolari. Mi ricordo che, appena la vidi, pensai ‘Se un giorno farò A Chiara, sarà lei la protagonista’.

La famiglia di Chiara nel film A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Productions

La famiglia di Chiara nel film A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Productions

“Nel corso degli anni il rapporto con Swamy è diventato più profondo e ho conosciuto anche tutta la sua famiglia e, grazie a questo rapporto, ho fatto sì che Chiara diventasse sempre più come Swamy. Non frequentando normalmente 15enni il legame con Swamy mi ha aperto un mondo. Il modo in cui Chiara, nel film, interagisce con la comunità o con i suoi amici l’ho basato sugli atteggiamenti di Swamy. Da là la scelta è stata facile. L’ho vista in giro con sua sorella e ho decisa di inserire anche lei nel film. Inizialmente, infatti, Chiara doveva essere figlia unica. Poi scelsi di far recitare anche gli altri parenti di Swamy con cui, negli anni, si era costruito un bellissimo rapporto. Questa penso sia stata una scelta molto importante perché ha donato ancora più autenticità al film”.

“Per me è fondamentale raccontare la Calabria come parte del mondo globalizzato. Sono un po’ stanco di vedere questa terra descritta come un luogo arcaico e chiuso”

La stessa storia personale di Jonas Carpignano – cresciuto tra Roma e New York da padre italiano e madre americana originaria delle Barbados – rispecchia la globalizzazione del nostro mondo, dove ormai non esistono (o almeno non dovrebbero) confini e barriere culturali. E, con tutte e tre le sue pellicole, ha voluto raccontare una Calabria cosmopolita, lontana dagli stereotipi di terra arcaica che qualcuno ancora ha pensando a questa regione.

“Per me è stato fondamentale raccontare la Calabria come parte del mondo globalizzato. Sono un po’ stanco di vedere questa regione dipinta sempre come un luogo arcaico. La Calabria non è solo provincia è cosmopolita ed è così adesso perché tutto il mondo è collegato. Swamy è una ragazza di provincia della Calabria ma potrebbe benissimo essere una ragazza della periferia di Milano. Queste divisioni territoriali non ci sono più o sono meno importanti, meno influenti. Non esistono più confini così rigidi come magari poteva essere negli anni ’50 o ’60 in cui il contesto era molto più ristretto e chiuso”.

Una scena di A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Production

Una scena di A Chiara di Jonas Carpignano ©Stayblack Production

“Mi sono sempre sentito vicino ai neorealisti sono cresciuto con l’idea che il vero cinema era quello che facevano loro”

Guardando A Chiara è impossibile non fare paragoni con una delle correnti cinematografiche che più hanno reso il cinema italiano famoso e apprezzato in tutto il mondo: il neorealismo. Registi come Rossellini o, ancor di più, Pasolini, hanno, infatti, profondamente influenzato Jonas Carpignano nella realizzazione dei suoi film. Basti pensare alla scelta di far recitare attori non professionisti, persone che realmente vivono nei luoghi che vengono raccontati. Escamotage usato da Pasolini per Accattone in cui recitano esordienti della periferia romana. Rossellini, invece, aveva girato Germania Anno Zero quasi interamente nella Berlino devastata dai bombardamenti della Seconda Guerra mondiale.

“Una cosa che posso dire è che mi sono sempre sentito vicino alla poetica neorealista. Io sono cresciuto con l’idea che il vero cinema era quello che facevano loro. Se si vuole raccontare un certo tipo di storia, è quello il modo giusto di farlo. In questo modo il pubblico potrà comprendere una realtà che altrimenti non riuscirebbe a conoscere, un film di questo tipo deve essere utile ad accorciare le distanze. Per i film che ho realizzato, per esempio, scegliere attori di Roma o Milano sarebbe stato un passo falso. ‘Utilizzare’ gente del posto è un efficace mezzo per far avvicinare e far conoscere una certa realtà agli spettatori”.

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