Vincenzo Maddaloni: “La mia vita da reporter da Allende a Berlino”

Parliamo con il giornalista e saggista Vincenzo Maddaloni di Muro di Berlino, di perché Venezia con le sue disgrazie tanto le somiglia, e di altre storie per meglio comprendere le complicanze sociali del ventunesimo secolo.

Perché Berlino? «Perché è la capitale europea che, meglio di ogni altra riflette le ansie e i malesseri dei giovani e ne anima le speranze con un fermento culturale, ideologico e per molti versi rivoluzionario che trova a Berlino il suo scenario ideale.».

Un commento che stimola la riflessione questo di Vincenzo Maddaloni, un giornalista di spicco e di lungo corso che di capitali ne conosce più di qualcuna nel profondo, e che con Berlino ha intessuto, da quando vi risiede, un rapporto particolare.

Spiega: « Berlino fa storia a sé in Germania. Berlino non è soltanto la città del Muro, è anche la città di Alexanderplatz, intorno alla quale nasce e si diffonde nel 1918 la Lega di Spartaco, in tedesco Spartakusbund, un movimento socialista rivoluzionaria d’ispirazione marxista che avrà vita breve, poiché venne brutalmente represso dall’esercito tedesco e dai Freikorps ,”Corpi franchi”, organizzazioni paramilitari anticomuniste. Poi mano a mano che la Germania diventava nazista, il centro di Berlino si spostò verso Ovest, abbandonando i quartieri popolari, e lasciandosi alle spalle Alexanderplatz e Friedrichstrasse, le quali non perdettero le vetrine e i caffé, ma conservarono soprattutto i disoccupati e le prostitute. Sono pagine di Storia che oggi tornano alla mente, e fanno da riferimento, da quando le manifestazioni, le proteste, le rivolte, si vanno infittendo in Europa come altrove, il vaccino contro il Covid19 è diventato il pretesto,  da parte di una folla di disobbedienti molto variegata, nella quale numerosa è la presenza della classe media.».

Vincenzo Maddaloni, un giornalista di calibro internazionale

Vincenzo Maddaloni, è stato corrispondente a Mosca, con Gorbaciov a capo del Cremlino e con la perestrojka e la glasnost in pieno esperimento; a Warsavia con Walesa sindacalista, Jaruselski, il generale golpista, negli anni della rivoluzione del sindacato Solidarnosc. Si è fermato a Teheran per raccontare la sommossa che detronizzò lo Scià e poi l’arrivo di Khomeini e quello che ne seguì, era l’anno 1979. A Kabul ha visto partire la 40° armata sovietica. A Santiago del Cile descrisse quella rivolta popolare che si concluse con la morte di Allende e il golpe del generale Pinochet, A Pechino la pacifica protesta dei ragazzi di piazza Tiananmen. Accadde in maggio dell’ 1989, pochi mesi prima del crollo del Muro, il 9 novembre di quello stesso anno.

E di Berlino tagliata in due dal Muro che ricordo ha?

«Di Berlino Est, pessimo. La prima volta che vi arrivai per raccontare il congresso del Partito Socialista Unitario di Germania, il SED per intenderci, la segreteria del mio giornale mi prenotò la camera all’ Hotel Kempinski, a Berlino Ovest, una scelta che si rivelò subito infausta, perché ogni mattina sebbene avessi gli accrediti da mostrare, i controlli per poter attraversare il Muro ed entrare a Berlino Est non concedevano sconti. Le volte successive, scelsi l’albergo a Berlino Est, tra quelli consigliati ai giornalisti stranieri dalla segreteria del Congresso.  Mi ricordo di domeniche spettrali con la Under der Linden, deserta, senza nemmeno un cane. In quei miei brevi soggiorni, non ho mai visto tedeschi ridere, e nemmeno sorridere. Ricordo un ristorante di “moda” allora come adesso lungo la Sprea, dove l’unico rumore era quello dei cucchiai nella minestra».

Con Gorbaciov a capo del Cremlino, le cose migliorarono nella Germani Est, a Berlino?

« Affatto, con Erich Honecker, segretario del Partito dal 1971 al 1989, l’anno della caduta del Muro, perestrojka e in primo luogo la glasnost la “trasparenza” rimasero fuori dei confini della DDR. La mia esperienza è marginale, però da un’idea. Quando i sovietici accettarono la mia domanda di accredito, non è che automaticamente la DDR mi accolse con una minore rigidità dei controlli. Anzi. Sicuramente anche perché ero il corrispondente di Famiglia Cristiana che in quegli anni vendeva due milioni di copie a settimana. Pertanto l’apertura della sede di Mosca divenne un fatto epocale, ne parlò tutto il mondo. Scrissero tutto e di tutto in tutto il mondo, sollevando le ipotesi più controverse. Tutto quel chiasso evidentemente non piacque alla SED».

Ma com’era il lavoro di giornalista di quegli anni?

«Meglio chiedere cos’era il giornalista fino a dieci, quindici anni fa, quando Google, Internet erano ai primi passi e il tablet era ancora tutto da inventare. Fino al 2005 il lavoro del giornalista era simile a quello dell’artigiano. Raccoglieva notizie, ne verificava la validità e per farlo doveva aggiornarsi di continuo, leggere molto, studiare a fondo il Paese che sarebbe andato a raccontare. Non c’era Google, la ricerca era fatta ancora a mano, non esisteva il copia e incolla. Il giornalista faceva il giornalista e basta, non aveva tempo per altro. Oggi leggo spesso, in coda agli articoli, dopo il nome di chi l’ha scriitto, le qualifiche che si è dato, che di solito: giornalista, saggista, scrittore. È ridicolo, soprattutto quando si scopre che l’autore è poco più che trentenne. Insomma. Siamo passati dal mobile intagliato con meticolosa caparbietà, al mobile Ikea, nel migliore dei casi. In Italia è anche peggio. C’è da parlarne fino a domani, chiudiamola qui. Non stavamo parlando di Berlino?».

Appunto, era  presente quand’è crollato il Muro?

«No, non ero presente ero a Mosca in quelle giornate. L’ho vissuto di riflesso. Su quei giovani che picconavano il Muro s’è scritto, e si continua a scrivere moltissimo, bene. Di converso si è scritto poco, sugli universitari cinesi e delle loro richieste d’ordine morale, come la lotta alla corruzione, e d’ordine culturale, che sono poi le caratteristiche del movimento studentesco cinese a cominciare dalla sua nascita, 97 anni fa, il 4 maggio del 1919. Poi, come accadde nel 1966 ai tempi della rivoluzione culturale, la Cina è stata riportata all’ordine dai militari che il 4 giugno del 1989 in piazza Tienanmen seppellirono nel sangue un sogno. L’anno è il medesimo, ma il finale è diverso. Eppoi Berlino è in Europa, il Muro lo sentivamo vicino. Dobbiamo tener viva nei giovani questa memoria, perché molti di loro è storia passata, se la storia l’hanno studiata.».

Gli è nata da qui l’idea di fondare il Centro Studi Berlin89, l’associazione che si propone di analizzare i grandi fatti del mondo, prima e dopo la caduta del Muro?

«La protesta, oggi, non è più nella fabbrica, ma è scivolata nella piazza, dove gli “esclusi”  performano la loro precarietà, rivendicano le loro modalità di azione, inscenano i loro bisogni all’interno di uno spazio, la piazza appunto, che è di tutti. Vivono uno accanto all’altro, dormono in piazza nel caso delle occupazioni. Sono i soggetti esclusi, sono i borghesi impoveriti i nuovi protagonisti delle rivolte. Nell’immaginario collettivo dei giovani europei la piazza è a Berlino. Alexanderplatz, cantata da Battiato, è la piazza della protesta nonostante i ricordi terribili, come quello di Rosa Luxemburg alla quale spaccarono il cranio con il calcio di un fucile, prima di gettarne il corpo nel canale.».

Lei sostiene che Berlino e Venezia sono accomunate da un medesimo destino. Su cosa si fonda questa convinzione?

«Una ragione c’è. Sia Venezia che Berlino sono al centro dell’attenzione del mondo, anche perché sono due città sfigate, nel senso che hanno poteri limitati. A Berlino è stato imposto e tolto il Muro per decisione altrui. Similmente accade a Venezia con le grandi navi, è un esempio tra i tanti,  che continuano ad attraversare il bacino di San Marco nonostante le proteste dei veneziani. Sono due esempi di  due realtà europee complesse, come Berlino e Venezia appunto, che condensate in un’unica piattaforma di riflessione diventano, un utile strumento  per meglio comprendere le complicanze sociali del ventunesimo secolo. Ecco perché meritano una particolare attenzione.».

Vincenzo Maddaloni e il team della redazione

Vincenzo Maddaloni e il team della redazione

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Immagine di copertina: gentilmente concessa da Vincenzo Maddaloni