Le eccezionali, ma discusse, collezioni etnologiche dei Musei statali di Berlino
La ricerca sulla provenienza della collezione etnologica dei Musei statali di Berlino
Immaginate di salire su un aereo per andare in un paese lontano. Arrivati a destinazione, entrate in una cantina poco arieggiata e tutto intorno vedete una collezione di oggetti che rappresentano la vita dei vostri antenati. Sono oggetti di tutti i giorni, come calebasse, pentole e pipe, ma anche oggetti che potrebbero aver avuto un ruolo importante negli avvenimenti cruciali della vostra storia. Vi trovate in una stanza a Berlino Dahlem, dove tutti questi oggetti sono stati smistati meticolosamente per categoria e riposti all’interno di vetrine, dove vengono conservati da più di cento anni. Se siete arrivati dalla Tanzania, avrete dovuto percorrere circa 7.000 km per raggiungere Berlino. Qui potete vedere artefatti che potrebbero avere molto da raccontare su chi siete.
15 mila oggetti provenienti dalle ex colonie tedesche dell’Africa orientale
La curatrice Paola Ivanov e la storica Kristin Weber Sinn assistono a questa scena, dando il benvenuto a colleghe e colleghi provenienti dall’Africa nel deposito del Museo Etnologico di Berlino Dahlem. “Avete raccolto proprio tutto” si sentono dire spesso da parte dei loro visitatori stupefatti. In 116 vetrine sono ordinati più di 15.000 oggetti provenienti dalle ex colonie tedesche dell’Africa orientale, gran parte di questi dall’attuale Tanzania. La ricercatrice Weber Sinn descrive momenti in cui ciò che si trova nelle vetrine riacquista vita: “Quando gli oggetti vengono rimossi per essere studiati, lo si fa seguendo un approccio scientifico”, racconta. “Io sono una storica. Non conosco il significato e la funzione esatta di molti oggetti, ma poi c´è qualcuno che dice: Anche mia nonna aveva la stessa pipa!”.
L’ Humboldt Forum
In realtà, la ricerca sulla provenienza procede in maniera piuttosto silenziosa. Con il trasferimento di una parte degli oggetti da Dahlem all’ Humboldt Forum è stata data improvvisamente grande attenzione al lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori di Berlino anche da parte della stampa. Molto ha a che fare con il castello di Berlino, lo Stadtschloss, vecchia residenza del re di Prussia, ricostruito ex-novo recentemente. Ospitando l’ Humboldt Forum, questo si sarebbe dovuto inserire armoniosamente nel tessuto urbano dell’Isola dei Musei di Lindenstrasse. Era previsto un “luogo di dialogo” in cui scienza, arte e culture del mondo si sarebbero incontrate. All’interno del castello, il museo etnologico inaugurerà la sua mostra probabilmente a metà del prossimo autunno 2021, ma già da diversi anni la collezione è al centro di forti critiche. Oggetto del contenzioso è la violenza attraverso la quale gran parte di questi oggetti sono diventati di proprietà di quello che è l’attuale “Fondazione del Patrimonio Culturale Prussiano” nel XIX secolo.
Ricerca sul valore degli oggetti per la società di appartenenza
In tutto questo Kristin Weber Sinn e Paola Ivanov hanno un ruolo fondamentale. Insieme alle loro colleghe e colleghi lavorano per capire meglio le circostanze nelle quali gli oggetti delle collezioni sono entrati a far parte della collezione, cercando di individuarne i proprietari originali e il valore che tali oggetti ancora oggi hanno per le società a cui appartengono. Tuttavia, spesso si trovano di fronte a dei limiti. Il primo di questi è la frammentarietà delle fonti circa il processo di appropriazione degli oggetti e sui loro percorsi. Non è quindi possibile risalire a proprietari originari consultando i registri di inventario. Anche nel caso in cui, ad esempio, i funzionari coloniali tedeschi abbiano fornito informazioni scritte sulla natura di una transazione, esse devono essere trattate con molta cautela perché i contesti storici del dominio coloniale erano caratterizzati da forti squilibri di potere.
I paradigmi costruiti dagli etnologi tedeschi del XIX secolo
Il secondo limite sono i paradigmi scientifici dell’epoca. Forse la cosa più strana della collezione di Berlino, che durante il periodo coloniale tedesco si è evoluta in una delle più grandi d’Europa, è che gli etnologi tedeschi del XIX secolo pensavano che si potessero trarre conclusioni sulle culture e sul loro sviluppo solamente attraverso l’accumulazione di oggetti che le caratterizzassero. La curatrice Paola Ivanov spiega: “È come se una persona girasse per casa mia raccogliendo tutto quello che c’è in giro e raggruppando tutti questi oggetti per categorie. Come se prendesse il mio sapone, i miei cucchiai, dei libri, la sedia, e mettesse tutto al museo”. A quel tempo, nessun rappresentante delle società in questione fu consultato in questo processo. Gli etnologi a Berlino cercavano di attribuire il significato di questi oggetti a distanza, mentre la raccolta vera e propria degli artefatti avveniva spesso per mano di profani dell’etnologia: missionari, funzionari coloniali, militari, ecc. Questi ricevevano perlopiù una sorta di guida dai musei che strutturavano la raccolta. Paola Ivanov afferma che gli etnologi del tempo “non hanno mai potuto trarre conclusioni perché il metodo non era stato elaborato adeguatamente”.
Ricerca sulla provenienza degli oggetti
Come conseguenza, oggi a Berlino, spesso si sa molto poco dell’uso, del significato e dell’importanza di gran parte di questi oggetti. Da alcuni anni si fa maggior ricorso alla conoscenza di esperti e colleghi africani. Con la loro collaborazione le ricercatrici di Berlino si augurano di poter approfittare di un miglioramento delle condizioni generali dei progetti. Dei finanziamenti a lungo termine costituirebbero la base principale per lo sviluppo di rapporti di fiducia e la collaborazione continua. Ricerca sulla provenienza per Paola Ivanov e Kristin Weber Sinn non vuol dire soltanto rintracciare i percorsi dei reperti negli archivi. L’obiettivo delle ricercatrici è quello di entrare in contatto con le comunità africane.
Nuovi format per l’analisi della storia e del futuro della collezione
Paola Ivanov e Kristin Weber Sinn stanno sperimentando nuovi format, come l’ Humboldt Lab Tanzania, che si è tenuto dal 2012 al 2015 in collaborazione con il Museo Nazionale della Tanzania e con l’Università Dar Es Salaam. Gli scienziati africani hanno contribuito con le loro conoscenze sulla storia e la funzione degli oggetti, mentre alcuni artisti e attivisti africani si sono confrontati con i rappresentanti del Museo di Berlino riguardo alla storia della collezione e sul suo futuro. A Dar Es Salaam si sono anche affrontati degli aspetti critici: molte persone in Tanzania non sanno nulla della presenza di tali oggetti a Berlino. E anche se la politica del Museo etnologico dovesse cambiare, diventando più trasparente, accessibile a tutti anche in maniera digitale e resa visibile alla popolazione della Tanzania si pone ciononostante una questione: come mai oggetti africani, soprattutto quelli acquisiti in un contesto violento, dovrebbero essere conservati in Germania? La ricerca sulla provenienza può rispondere solo in parte a questa domanda, ma ne rappresenta la base per l’inizio di negoziati.
L’obiettivo della Fondazione del Patrimonio Prussiano
«Per restituire qualcosa bisogna sapere da dove proviene», si legge nella homepage del sito web della Fondazione del Patrimonio Prussiano. Kristin Weber Sinn afferma: “In progetti di collaborazione con esperti ed esperte africane svolgiamo ricerche insieme e ci confrontiamo. La restituzione di oggetti etnologici dovrebbe in ogni caso essere accompagnata da un processo di questo tipo. Bisogna costruire una relazione con le comunità in questione e chiedersi: Chi vuole cosa?”. Data la quantità di oggetti nel deposito a Dahlem e il tempo necessario per studiarli, questo processo potrebbe durare molti anni ancora.
Fonte Copertina: Isola dei Musei – Museuminsel © Diego Delso, delso.photo, License CC-BY-SA
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