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Charlotte Salomon, storia della talentuosa artista berlinese morta a soli 26 anni ad Auschwitz

Come un vero e proprio copione teatrale, Charlotte Salomon ha raccontato la sua storia attraverso l’arte

Vissuta a cavallo tra le due guerre mondiali, Charlotte Salomon è stata una pittrice berlinese di origini ebraiche. Appartenente a una famiglia benestante, Charlotte visse un’infanzia serena fino all’età di 9 anni, quando improvvisamente sua madre si tolse la vita, lanciandosi da una finestra. Dal quel triste episodio, la vita di Charlotte cambiò definitivamente. Anche lei, come altre donne della sua famiglia, soffrì di crisi depressive, dalle quali però non si lasciò mai sopraffare, grazie alla sua grande forza d’animo e probabilmente appigliandosi  a quella che era la sua grande passione: l’arte. Charlotte fu l’unica ebrea a frequentare l’Accademia di Belle Arte di Berlino, ma nel momento più prolifico della sua carriera artistica, arrivò la minaccia più grande: l’antisemitismo. Costretta continuamente a fuggire e a trovare un posto sicuro, Charlotte riuscì comunque a dar vita a una ampissima produzione artistica. Realizzò una serie di 769 dipinti, raggruppati in un’unica opera intitolata “Leben? oder Theatre? Ein Singespiel” (Vita? o Teatro? Una commedia musicale), nella quale la pittrice racconta di sé e della sua famiglia. Si tratta della più grande opera artistica creata da un ebreo durante l’Olocausto, realizzata con modalità del tutto innovative per l’epoca. La breve ma intensa vita della pittrice berlinese si spezzò a soli 26 anni, in una camera a gas nel campo di concentramento di Auschwitz.

 Stolperstein Salomon https://it.wikipedia.org/wiki/Charlotte_Salomon#/media/File:Stolperstein,_Wielandstra%C3%9Fe_15,_in_Berlin-Charlottenburg.jpg Copyright Baden-Paul CC0 1.0)

Stolperstein C.Salomon in Wielandstrasse 15.  Copyright Baden-Paul CC0 1.0)

Per saperne di più: chi era Charlotte Salomon?

Nel cuore di Berlino, il 16 aprile 1917 nacque Charlotte Salomon. Di origini ebraiche, il padre Albert Salomon fu un noto medico chirurgo, mentre sua madre Franziska era un’infermiera. La famiglia ebrea, appartenente alla classe media, viveva nel quartiere di Charlottenburg in Wielandstrasse 15, l’edificio ora ospita la scuola Joan Miró. La madre Franziska, come altre donne della sua famiglia, soffriva di una grave depressione a cui pose fine con il suicidio, quando Charlotte aveva solo 9 anni. Evento determinante nella vita della piccola, di cui venne a conoscenza solo diversi anni dopo. Il talento artistico di Charlotte fu presto evidente, fu infatti l’unica ebrea ad essere accolta come allieva all’Accademia di Belle Arti di Berlino, che però fu costretta a lasciare dopo soli tre anni a causa delle sempre più stringenti leggi contro gli ebrei. Nel clima antisemita, anche Albert perse il diritto di esercitare la sua professione e la famiglia fu costretta a nascondersi, prima nella città natale – Berlino –  e successivamente in Francia, ma malgrado i loro sforzi, non riuscirono a sfuggire alle SS. Nel 1936 Albert venne internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen e nel 1940 Charlotte e il nonno vennero bloccati dalle autorità francesi e trasferiti nel campo di internamento di Gurs ma, in questo caso, la detenzione fu breve in considerazione delle condizioni psicofisiche dell’uomo. Giunta a Nizza, Charlotte diede vita alla produzione artistica che renderà il suo ricordo indelebile: una serie di 769 dipinti intitolata “Leben? oder Theatre? Ein Singespiel” (Vita? o Teatro? Una commedia musicale) nella quale viene riportata la  drammatica esperienza di vita della pittrice. Ai dipinti aggiunge anche annotazioni e persino un accompagnamento musicale. Negli stessi anni conobbe l’uomo che divenne suo marito, Alexander Nagler, anche lui un rifugiato tedesco. Col passare del tempo, i controlli da parte delle autorità tedesche si intensificarono e la coppia non riuscì a trovare un posto sicuro. Nel 1943, Charlotte venne deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove perse la vita all’età di soli 26 anni con in grembo il suo bambino.

 

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Raccontarsi attraverso l’arte

Il talento di Charlotte prende forma in uno dei momenti più tristi e angoscianti della sua vita e dell’intera umanità. Il dolore per la perdita dei propri cari, l’annientamento della personalità e la continua ricerca della salvezza, rendono Charlotte fragile, ma lei riesce a non perdersi d’animo e, attraverso la sua produzione artistica, riesce a tirar fuori tutto ciò che vorrebbe urlare al mondo. La sua vicenda artistica si concentra in una sola opera:  “Vita? o teatro? Una commedia”, una raccolta di circa ottocento immagini suddivisa in atti – come se fosse una composizione lirica – con cui l’autrice ripercorre la propria vita, in uno stile che incontrare la pittura, il fumetto, l’illustrazione, la scrittura poetica filosofica e il commento musicale, in una sintesi originalissima, che oggi definiremmo graphic novel. Un linguaggio, all’epoca assolutamente inedito,  che varia a seconda del soggetto trattato. I suoi lavori sono spesso esposti nei musei dedicati alla recente storia ebraica, eppure a parte una manciata di raffigurazioni  del Terzo Reich, il lavoro di Salomon non riguarda affatto l’Olocausto ma, piuttosto se stessa, la sua famiglia, l’amore, la creatività, la morte, Nietzsche, Goethe, Richard Tauber, Michelangelo e Beethoven. Racconta la genesi di una donna e di tutti i suoi segreti: malattie mentali, esaurimenti nervosi, molestie, suicidi, overdose e triangoli amorosi freudiani: un presagio della nostra epoca. Mentre la testimonianza della shoah da parte della pittrice è legata soprattutto ad alcune scene che registrano le campagne di odio nei confronti degli ebrei, la tracotanza delle parate naziste, gli atti di inaudita violenza, la confusione e il terrore della popolazione inerme di fronte alle continue aggressioni.

 

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Storia di un omicidio insabbiato

Otto mesi prima di essere deportata ad Auschwitz, Charlotte uccise suo nonno. Quello che stupisce e allo stesso “affascina” è il movente. Il crimine commesso da Salomon non fu dovuto a un atto di pietà, per evitare che l’anziano venisse preso dai nazisti, ma fu del tutto personale. Molto probabilmente l’uomo venne avvelenato. In una lettera di confessione, Charlotte ha documentato l’accaduto in tempo reale. Scrive: “Sapevo dov’era il veleno. Agisce mentre scrivo. Forse adesso è già morto. Perdonami.”  La macabra ammissione comprende anche la descrizione di come Charlotte abbia disegnato un ritratto di suo nonno mentre spirava davanti a lei. Il disegno a inchiostro di un uomo distinto e avvizzito – la testa accasciata nel colletto dell’accappatoio, gli occhi chiusi, la bocca una fessura sottile che si annida nella sua voluminosa barba – sopravvive. Le agghiaccianti parole di Salomon, custodite nella lettera di autodenuncia, sono state nascoste dalla sua famiglia per più di sessant’anni, per nascondere le tracce dell’omicidio. Frammenti di pagine della lettera sono stati resi pubblici per la prima volta in un documentario olandese del 2011 del regista Frans Weisz. Successivamente, nel 2015 l’editore parigino “Le Tripode” ha pubblicato per la prima volta la lettera nella sua interezza, in una nuova edizione dell’opera completa di Salomon, “Leben? oder Theatre? Ein Singespiel“. Sebbene la rivelazione del crimine abbia sbalordito studiosi e gli stessi lettori, la notizia ha attirato poca attenzione, e spesso, nelle biografie dedicate all’artista non viene nemmeno menzionata.

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Immagine di copertina: Screenshot da YouTube