V. Giacché: «Anschluss, L’annessione: ecco come la Germania Ovest si approfittò dell’Est con la riunificazione»
L’economista e saggista Vladimiro Giacché ci spiega come il presente della Germania sia legato a doppio filo con un passato recente gestito cercando di massimizzare gli interessi dell’Ovest
Anschluss è la parola universalmente usata per raccontare l’annessione dell’Austria al Terzo Reich di Hitler nel 1938. Utilizzarla per definire il processo che ha portato alla riunificazione tedesca del 1990, un processo troppo spesso superficialmente descritto come un grande momento di pacificazione e solidarietà, significa volere cercare di andare oltre le apparenze e capire come le crepe di allora siano legate a doppio filo con il presente sia della Germania che di tutta l’Unione Europea. Del resto, anche da un punto di vista giuridico, non si può parlare di riunificazione visto che formalmente, si trattò dell’inglobamento territoriale dei cinque Länder orientali e di Berlino Est all’intero della Germania Ovest accettandone anche la Costituzione. Lo racconta perfettamente il celebre economista e saggista Vladimiro Giacché in “Anschluss. L’annessione” recentemente ripubblicato e aggiornato (la prima edizione risale al 2013). «Nel gennaio del 1990, Hans Modrow, allora presidente del consiglio della Germania Est, propose un avvicinamento graduale tra le due Germanie evitando quella “terapia shock” poi adottata. Era una proposta ragionevole, ma con due difetti: non faceva gli interessi delle imprese e delle banche della Germania Ovest, alle quali non pareva vero di potersi vedere spalancato da un giorno all’altro un mercato di 16 milioni di abitanti sbaragliando la concorrenza locale, come poi avvenne con l’unione monetaria, e che prevedeva una Germania neutrale, fuori sia della Nato che del Patto di Varsavia. In ogni caso, a questa proposta mancò anche l’appoggio di Gorbaciov. Fu quindi abbandonata praticamente subito in favore di un’unificazione a tappe forzate».
Anschluss. L’annessione, le premesse di una storia squilibrata di cui già si aveva consapevolezza all’epoca
«Circa 10 anni fa Matthias Platzeck, allora presidente del Land del Brandeburgo, per parlare della riunificazione in un’intervista allo Spiegel usò la parola Anschluss. Scatenò un putiferio. Questo libro però nasce da un numero, anzi da un rapporto: 1 a 4,44. Si tratta del cambio tra il marco ovest e marco della Germania Est al quale venivano regolate le transazioni commerciali tra le 2 Germanie nel 1988/9. Ho trovato questo rapporto nel libro di Edgar Most, un banchiere della Germania Est – era vicepresidente della Staatsbank der DDR – che è stato anche il protagonista della vendita a Deutsche Bank della rete di filiali della banca di Stato della Germania Est dopo la caduta del Muro. Sapendo che l’unione monetaria tra Germania Est e Germania Ovest nel luglio 1990 è stata realizzata al cambio di 1 a 1, ho pensato che quel rapporto citato da Most fosse falso. Chiunque mastichi un po’ di economia sa infatti che se tra due paesi vige un rapporto di cambio di – semplifichiamo – 1 a 4,5 – cioè: 4,5 marchi est equivalgono a 1 marco ovest., e di colpo si passa a 1 a 1, quel passaggio equivale a un rincaro del 350% del prezzo dei prodotti fabbricati nel paese che aveva la valuta più debole. Un’enormità. Ho approfondito la ricerca e ho dovuto constatare che quanto detto da Most era vero. Questo ha cambiato il mio modo di leggere l’unificazione tedesca. L’unione monetaria sarebbe stata comunque un azzardo pericoloso in termini economici. Di recente, preparando la seconda edizione del mio libro, ho scoperto che un report del ministero federale per i rapporti intertedeschi aveva messo nero su bianco questo giudizio nel gennaio 1990, pochi giorni che la proposta dell’unione monetaria fosse lanciata da Kohl. Ma a quel tasso di conversione era chiaro che essa avrebbe significato la distruzione dell’intero patrimonio industriale della ex Germania Est. Ciò che in effetti accadde. Di norma si ritiene che la catastrofe economica del 1990/1 in Germania Est sia stata causata dal fatto che le imprese tedesco-orientali fossero non competitive. Ora, la competitività è il prodotto di diversi fattori: ma è chiaro che un apprezzamento del cambio del 350% non è precisamente il modo migliore per accrescerla. Se una Fiat costa 20mila euro e ha problemi di mercato, venderla a 70mila euro verosimilmente non accrescerà le sue quote di mercato».
I vantaggi di un’unione monetaria tedesca per l’allora Germania Ovest
«Ovviamente, questo modo di vedere le cose è molto distante dall’opinione corrente, secondo cui la Germania Ovest avrebbe soccorso una Germania Est agonizzante economicamente. Il quadro diventa molto diverso: al centro c’è un’unione monetaria ed economica fatta in fretta e furia per accelerare il percorso verso l’unione politica, trascurando completamente le conseguenze economiche, o pensando di poterle superare agevolmente. Purtroppo, però, l’economia ha le sue leggi e non guarda in faccia nessuno. Questa situazione è molto più sorprendente e difficile da spiegare se si segue la narrazione ufficiale, quella di un paese distrutto economicamente che viene soccorso e avviato su un percorso di rapida crescita grazie agli ingentissimi capitali regalati dall’Ovest. Ma anche in questo caso i numeri purtroppo ci dicono una cosa diversa: i tassi di crescita in quella parte della Germania dalla riunificazione in poi sono inferiori a quelli di tutti i paesi dell’Est europeo negli ultimi 30 anni».
Come le decisioni dell’epoca condizionano il presente degli ex territori della Germania Est
«I risultati a cui mi hanno condotto le mie ricerche sul modo in cui è stata condotta l’unificazione tedesca, l’unione monetaria, che dal mio punto di vista è il peccato originale, ma anche la privatizzazione – di fatto svendita – delle imprese tedesco orientali da parte della Treuhandanstalt e altri aspetti giuridici dell’unificazione di cui parlo nel libro, rendono la situazione attuale dei Länder dell’Est della Germania niente affatto sorprendente. La loro situazione economicamente difficile – povertà e disoccupazione più elevate che all’Ovest, stipendi più bassi di un quarto nel settore privato, popolazione in costante calo, prezzo degli immobili molto più basso che all’Ovest, poche grandi imprese, ecc. – si spiega perfettamente con le conseguenze di lungo periodo di un’unificazione che ha comportato la deindustrializzazione del paese».
Un momento di Storia di cui non si aveva pienamente coscienza all’epoca
«Io quel 9 novembre 1989 ero a Roma, facevo il servizio militare in marina da ufficiale del complemento. In quei giorni mi telefonò un collega di corso in Normale a Pisa dove studiavo economia, che si trovava allora in Germania e mi raccontò quello che stava accadendo. Pensai che stesse avvenendo un vero e proprio terremoto geopolitico, un cambiamento radicale della situazione mondiale, che non riguardava soltanto la Germania o i paesi dell’Est, ma che avrebbe investito anche noi. La cosa singolare è che anche gli stessi protagonisti non intendevano la portata di quanto stava accadendo. Se uno si rilegge le dichiarazioni di quei giorni e le memorie di diversi di loro, penso all’ex capo dello spionaggio tedesco orientale Markus Wolf, a Egon Krenz, all’epoca capo della SED, ma anche a diversi esponenti della CDU tedesco occidentale, è evidente che la portata geopolitica della fine del Muro sfuggì ai più».
Il ruolo della Merkel nella fase post-riunificazione
«Credo che la Merkel abbia saputo rappresentare molto bene in particolare gli interessi delle imprese e delle banche tedesche. È stata molto brava nel togliersi di dosso il ricordo della sua militanza nell’organizzazione giovanile della SED e il fatto di non aver giocato alcun ruolo nel movimento democratico tedesco orientale che portò alla fine del Muro. Ed è stata bravissima a integrarsi nel nuovo corso politico, prima da portavoce del governo tedesco orientale uscito dalle elezioni del marzo 1990 e guidato da De Maizière, poi facendo una rapida carriera nella CDU all’ombra di Kohl, che infine ha scaricato. Nei suoi 15 anni da cancelliera è riuscita in genere a essere in sintonia con una parte significativa della popolazione, pilotando la crisi del 2008 e degli anni seguenti in Europa in direzione favorevole agli interessi in particolare dell’industria tedesca. In generale, è stata più equilibrata che innovativa. Dal 2015 il suo consenso ha conosciuto un calo significativo, a Ovest come a Est, a causa della sua brusca svolta nella politica di accoglienza degli immigrati. Attualmente le viene accreditata una buona gestione della pandemia. Ma tutti i partiti che sostengono il suo governo, tanto CDU e CSU, quanto la SPD, hanno subito negli ultimi anni un significativo calo di consensi: evidentemente, non è riuscita a intercettare alcune spinte al cambiamento presenti nell’elettorato».
Lo svuotamento demografico dell’Est verso l’Ovest e le conseguenze sul mondo accademico e la ricerca
«La migrazione da Ovest è stata da subito significativa, anche se non in grado di controbilanciare il movimento in direzione opposta, non a caso il “Financial Times” ancora nel giugno 2019 ha potuto parlare di una “Germania dell’Est sull’orlo di un collasso demografico”. In genere chi è emigrato da Ovest è andato a Est per occupare posizioni di responsabilità nell’amministrazione pubblica. Queste opportunità sono state favorite, come documento nel mio libro, da una drastica epurazione che ha interessato università e istituti di ricerca della ex Germania Est negli anni immediatamente successivi all’unificazione. Questo ovviamente non vale per gli anni più recenti, in cui c’è stata un’inversione di tendenza con la creazione di centri di eccellenza nelle principali università ha portato un afflusso di studiosi che va giudicato senz’altro positivamente».
I tempi futuri per una (vera) riunificazione economica e sociale della Germania
«Dal punto di vista economico occorrerà molto tempo per accorciare la distanza tra i territori che costituivano le due Germanie. Dal punto di vista sociale le cose non vanno in modo diverso. C’è un tema di riconoscimento sociale dei tedeschi dell’Est, troppo spesso a Ovest considerati come la causa dei loro stessi problemi. Penso che le cose stiano diversamente, che le colpe del disastro economico degli anni immediatamente successivi alla fine del Muro siano essenzialmente del governo tedesco occidentale che guidò l’unificazione, e che si debba tenere molto ben presenti queste parole scritte da Wolfgang Engler, uno dei più acuti interpreti della realtà tedesco-orientale e certo non un nostalgico del regime precedente: “Non appena raggiunto l’obiettivo principale della svolta tedesco-orientale, il riconoscimento di diritti fondamentali e di libertà essenziali per ciascuno, milioni di cittadini dell’Est persero ogni sostegno economico e sociale. Il conseguimento dell’autodeterminazione da un punto di vista politico e giuridico andò di pari passo con la perdita dell’autodeterminazione dal punto di vista economico e sociale”. Sinché non si capisce fino in fondo anche a Ovest che questo è accaduto, a Est lo sanno già, la distanza sociale e politica tra le due parti della Germania non si accorcerà. Sinora, purtroppo, questo non è avvenuto».
Il ruolo dell’Unione Europea nel processo di riunificazione
«In realtà l’esperienza di questi decenni ci dice che l’Unione Europea non ha rappresentato un fattore decisivo per il superamento degli squilibri regionali all’interno dei paesi membri. Qualcosa in tal senso è accaduto nei paesi che hanno potuto usufruire dei fondi di coesione, ma non in Italia, dove al contrario ha contribuito ad aggravarli, rendendo più impervie – e condizionate a criteri non sempre confacenti alla nostra situazione – le politiche di sostegno regionale. La Germania come noto beneficia tuttora di condizioni di favore legate al superamento della divisione del paese. Ma non credo che siano determinanti per il miglioramento della situazione. La risposta deve essere trovata all’interno della stessa Germania. Guardando la situazione dalla prospettiva opposta, c’è una naturale ritrosia della Germania ad assumersi esplicitamente la leadership del processo di integrazione europea: il fatto di essere un gigante economico e un nano politico, come disse qualcuno, è una situazione cui la Germania Ovest era abituata ai tempi della divisione del paese, e non è necessariamente una condizione scomoda. Ma va pur detto che la Germania ha per contro guidato con mano ferma la gestione della crisi post 2009, e in questo caso è stata molto decisa nello sfruttare a proprio vantaggio la variazione dei rapporti di forza a suo favore determinata dalla cosiddetta crisi dei debiti sovrani. Per la verità, i risultati della sua guida in questa occasione sono stati a dir poco controversi».
Le analogie, presunte, tra l’allora Germania dell’Est e l’Italia del sud
«Il tema della “Mezzogiornificazione” dell’Est è stato abbastanza presente nel dibattito, ma più per indicare un rischio che per indicare le condizioni di partenza dei Länder dell’Est. Quel rischio si è realizzato. I dati sulla crescita che citavo prima fanno a pugni con le letture dell’unificazione tedesca come un grande successo da contrapporre alla situazione del nostro Mezzogiorno. Se lo “Handesblatt” del 31 agosto 2019 poteva titolare un suo dossier sui Länder dell’Est “Si può ancora salvare l’Est?”, evidentemente quella contrapposizione non ha alcun senso. Al di là dei titoli ad effetto, dal punto di vista della struttura economica l’aspetto rilevante è il fatto che i 5 nuovi Länder non sono stati istradati su un percorso di sviluppo in grado di autosostenersi: al contrario, la deindustrializzazione avvenuta nei primi anni Novanta li ha resi dipendenti dal resto della Germania. Prima dell’unificazione quella parte della Germania, per quanto più povera dell’Ovest, era invece sostanzialmente autosufficiente in termini economici. Lo stesso debito verso l’Occidente ammontava a poco più di 20 miliardi di dollari, come certificato dalla stessa Bundesbank: si tratta di una frazione del debito che oggi grava sulla sola città di Berlino».
Le accuse di egoismo alla Germania durante la pandemia
«Si tratta di sciocchezze. I leader tedeschi fanno l’interesse del proprio paese, e in particolare – come è naturale – dei ceti elettoralmente di riferimento. Aggiungo che è del tutto normale che all’interno dell’Unione Europea vi sia un confronto tra interessi diversi dei diversi paesi, interessi che a volte possono convergere e altre volte confliggere. La Germania ha sempre manifestato la capacità di fare sistema e di difendere a oltranza i propri interessi. Il nostro paese è per contro gravemente carente a questo riguardo. Sottolineo che questa carenza non va addebitata soltanto ai governi, ma anche – e forse soprattutto – all’amministrazione dello Stato, ai meccanismi di carriera e di premio, e al mancato coordinamento tra carriere nell’amministrazione a livello nazionale e carriere entro le istituzioni europee».
Vladimiro Giacché e la Germania: una storia lunga più di trent’anni
«Prima dell’unificazione sono stato per lo più all’Ovest: ho infatti trascorso presso la Ruhr-Universität di Bochum, nel Nordreno-Vestfalia, il quarto anno di università, per la mia tesi di laurea sull’idealismo tedesco. Durante gli studi universitari ho frequentato però anche un corso estivo di lingua tedesca a Weimar, in Germania Est; durante quel corso sono stato a Eisenach, sempre in Turingia, e anche a Berlino, Dresda e Lipsia. A Bochum non sono più tornato dopo l’unificazione, in diverse delle città dell’est che ho citato invece sì. Eisenach, l’ho trovata più povera e spopolata (in effetti ha perso quasi diecimila abitanti sui 45mila di prima dell’unificazione, anche a causa della chiusura dell’industria automobilistica che aveva sede in città), Weimar tenuta molto bene e con alcune case antiche del centro distrutte dalla guerra ora ricostruite in stile originale. Le città dell’Est prima erano molto diverse da quelle dell’Ovest. Al netto della lingua, erano due paesi differenti. Ora ci sono dappertutto le stesse catene di negozi. Ormai, per così dire, è tutto Ovest».
Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa
di Vladimiro Giacché *
seconda edizione (2o2o)
17,10 €
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*Vladimiro Giacché economista e saggista, classe 1963, spezzino, laurea e dottorato di ricerca in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa, già consigliere di amministrazione di Banca Profilo e Presidente del Centro Europa Ricerche, è Responsabile Comunicazione, Studi e Marketing Strategico alla Banca del Fucino. Tra le sue recenti pubblicazioni: Titanic Europa (2012; ed. tedesca 2013), Costituzione italiana contro trattati europei (2015), La fabbrica del falso (2016), Il capitalismo e la crisi (2009) Economia della rivoluzione (2017) Hegel. La dialettica (2020).
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Photo Cover: © Vladimiro Giacché – Facebook