Olympiastadion, lo stadio delle emozioni da Owens a Grosso, a Berlino si è scritta la storia
Berlino, 9 luglio 2006. Dopo 120 minuti di palpitanti emozioni, resi ancor più epici in virtù della testata rifilata da Zidane a Materazzi, Fabio Grosso, in prossimità del dischetto, si trova dinnanzi a Fabian Barthez. È l’ultimo rigorista della celeberrima lotteria degli undici metri, in grado di sovvertire soventemente le scommesse su chi ne uscirà vincitore e che sino a quel momento regalò poche soddisfazioni ai colori azzurri.
L’ex fantasista del Chieti, divenuto terzino grazie ad un’intuizione di Serse Cosmi, tirò un sospiro di sollievo, ripensò a quanto accaduto nel suo magico mese mondiale, dal rigore procurato all’ultimo minuto contro l’Australia sino alla rete messa a segno nell’epica semifinale contro la Germania, chiuse un istante gli occhi e si accinse finalmente al tiro: sinistro ad incrociare sul secondo palo e goal.
L’Olympiastadion si tinge di azzurro ripensando al 2006
“Il cielo è azzurro sopra Berlino”, disse, dai microfoni RAI, Marco Civoli. E aggiunse, poi, parole dolci come il miele: “l’Italia è campione del mondo”. Un’emozione unica per milioni di italiani, che tornarono, ventiquattro anni dopo il Mundial spagnolo, a riempire le piazze del Belpaese ebbri di entusiasmo. E non solo. Teatro di quelle magiche ed impagabili emozioni fu l’Olympiastadion di Berlino, dove si svolse l’ultimo atto del Mondiale del 2006, che consacrò l’Italia, per la quarta volta nella propria storia, Campione del Mondo. Quando si pensa allo stadio Olimpico di Berlino, di conseguenza, il primo ricordo, per ogni buon sportivo italiano, non può che essere legato alla conquista dell’ambita coppa ideata dal Cazzaniga, che passò a miglior vita a poco meno di tre mesi dal trionfo di Cannavaro e compagni.
L’Olympiastadion, però, ha una storia lunga, ricca e variegata, piena di aneddoti finiti direttamente nei libri di storia. L’impianto fu costruito in occasione delle Olimpiadi estive del 1936, che dovevano rappresentare per il regime nazista uno straordinario veicolo di propaganda. E per realizzarlo, sotto l’occhio vigile dell’architetto Werner March, non si badò ad allentare i cordoni della borsa: 42 milioni di marchi. Una cifra, poco meno di novant’anni fa, di tutto rispetto, stanziata per raccogliere oltre 100.00 persone nell’impianto. In quell’estate del ‘36, lo stadio olimpico berlinese vide un certo Jesse Owens, leggendario atleta di colore di nazionalità statunitense, dominare la scena, conquistando ben quattro ori olimpici.
Olympiastadion: cosa successe realmente tra Owens e Hitler nel 1936?
Uno smacco per la propaganda razziale nazista, al punto che alcuni sostennero che, in occasione della vittoria di Owens ai danni del tedesco Luz Long nella finale del salto in lungo, Hitler se ne andò indispettito dallo stadio per evitare di salutare il campione olimpico.
In realtà, secondo quanto affermato dallo stesso Owens svariati anni dopo, le cose andarono diversamente: l’atleta statunitense si avvicinò alla tribuna d’onore e il Fuhrer si alzò in piedi e, con un cenno, lo salutò. Un episodio che, qualunque sia stata la reale dinamica dei fatti di quel 4 agosto 1936, è restata nei libri di storia. Ed Hitler, data la smania di dimostrare la superiorità delle proprie assurde teorie propagandistiche, sicuramente, in cuor suo, non avrà gradito il poker d’oro del leggendario Owens.
L’Olympiastadion, seppur in tono minore rispetto al 2006, ospitò tre gare del primo turno del Mondiale ‘‘74 (dove giocarono una gara a testa – entrambe contro il Cile – la Germania occidentale e quella orientale, incluse in quell’occasione nel medesimo girone), organizzato dalla Germania Ovest e il cui atto finale andò in scena in un altro stadio olimpico tedesco, quello un tempo situato a Monaco di Baviera. Oggi, l’impianto berlinese ospita, ormai da diversi decenni, le gare interne dell’Hertha Berlino, la compagine capitolina più nota in ambito calcistico, oltre ad essere il teatro dell’atto finale della DFB Pokal, ovvero la Coppa di Germania.
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