L’estate del prossimo anno e il sogno di un Germania e Italia al contrario…

di Pietro Luca Vanni

La settimana scorsa, dopo diversi voli cancellati da Berlino, io e mio figlio siamo arrivati finalmente in Italia. Erano sei mesi che i miei genitori non vedevano loro nipote e io stesso avevo anche bisogno di un po’ di mare, così, dopo un paio di notti passati con i familiari nella mia natia Rieti, sono andato qualche giorno in vacanza a Gallipoli. Ieri, ultimo giorno prima della ripartenza, sono andato a letto con un po’ di malinconia, ma anche felice di aver visto mio figlio sereno e perfettamente in grado di interagire con gli altri bambini dello stabilimento come se fosse un italiano. Ero stanco e così, appena sdraiato sul letto, sono sprofondato in un sogno che a lungo mi è sembrato realtà. Era l’estate del prossimo anno e c’ero io e con altri miei due amici italo-berlinesi tutti felici a vivere sullo Ionio. Stavamo facendo l’aperitivo al ristorante Bösefrau (titolo anche di una famosa canzone di Blixa Bargeld) del mio amico tedesco Gabriel, laureato in architettura all’università di Amburgo, ma che in Italia aveva finito per aprire, con i risparmi dei nonni sassoni, un ristorante di Flammkuchen con vista mare. La sua compagna (non sono sposati) era stata da poco licenziata da una galleria d’arte, ma poiché appare come donna single con figli, sta prendendo il reddito di cittadinanza.  Attorno a noi c’erano tutti i nostri figli a giocare. A seguito della crisi Covid, la Germania era di nuovo Der kranke Mann Europa, il malato d’Europa e l’emigrazione verso l’Italia era quasi di massa, soprattutto tra i giovani laureati. Alcuni di loro ci stavano servendo in quel momento, a volte con un italiano stentato, a volte direttamente in inglese. E noi, pazientemente, da bravi cittadini, gli rispondevamo lentamente. Chiacchieravamo del più e del meno con un aperitivo in una mano e nell’altro quella delle nostre mogli. Ogni tanto risuonava il suono da ricezione email del cellulare della moglie di Mimmo alla ricerca di una brava ragazza alla pari dalla Baviera, Turingia e Svevia per far crescere i suoi figli bilingue, una studentessa a cui dare vitto, alloggio e qualche soldo extra e a cui, immancabilmente, dopo qualche settimana di lavoro, appena ci fosse stata un po’ di intimità, si sarebbe cominciato a fare la morale sul suo inaffidabile Paese. Mimmo se lo poteva permettere. Era diventato milionario grazie all’acquisto a pochi euro di diversi terreni terremotati del centro italia. Nel giro di un paio d’anni era riuscito a trasformarli in case residenziali da affittare a 600 € a nero a camera per lo più a studenti Erasmus. Pasquale ormai era un geek milionario grazie ad un’invenzione nata per risparmiare spazio nei bagni delle case di Mimmo,  una app che – grazie ad un comando vocale – attivava la modalità bidet in quelli che un tempo erano solo tazze del cesso. Io lavoravo come tour operator di musicisti e gruppi tedeschi intenzionati a fare tour sul litorale salentino e così far sentire migliaia di emigrati a casa. Era un periodo di grande lavoro, ma mi ero circondato da uno staff di collaboratori tedeschi che parlavano bene anche l’italiano e di fatto non dovevo più fare tanto. Sapere delegare è fondamentale in questi contesti.

Ognuno di noi, appassionato di cultura tedesca , controllava ogni giorno ciò che diceva della vita in zona del giornale online di espatriati tedeschi Apulien Magazin: news, eventi culturali, recensioni di ristoranti che tacitamente si sfidavano da anni per decretare il migliore currywurst dalla zona. Tra chi si faceva inviare la carne direttamente dal Brandeburgo e chi allevava i maiali in Puglia per poi mandarli in Baviera per l’insaccamento e poi riceverli nuovamente a Gallipoli per essere cotti e serviti, ormai c’era solo l’imbarazzo della scelta. A tavola discutevamo della Stinco Woche e del prossimo Deutsche Street Food Festival che come ogni anno sarebbe stato inaugurato dall’ambasciatore tedesco vestito coi calzoni alla zuava bavaresi. Ci sarebbe piaciuto partecipare attivamente, non solo mangiare, ma anche dare una mano e farci ancora più amici tedeschi, ma ci saremmo lamentati di come si trattava di una comunità chiusa che stava solo fra di loro, senza cercare una vera integrazione con il paese ospitante. A tavola mancava Emilio che era andato, dopo un lungo viaggio in moto (Ducati 500) a passare una settimana di pieno relax, a buon prezzo, sull’arcipelago di Helgoland, ormai colonia estiva italiana. Su WhatsApp ci aveva scritto che mancava il wifi in molte strutture, ma che la gente era abbastanza ospitale e si stava divertendo.

Io, manager di una ditta di costruzioni navali della zona, qualche giorno fa avevo fatto sbattezzare mio figlio per evitare di condannarlo ad una vita di 8 per mille dati in automatico alla chiesa mentre con mia moglie avevamo da ormai mesi una relazione poliamorosa che coinvolgeva anche il vicino di casa e sua madre. Dopo cena saremmo andati nel mio attico climatizzato vicino al porto turistico a parlare di come esportare più imbarcazioni nel resto d’Europa, senza contribuire troppo a quel surplus commerciale italico che da mesi aveva attirato l’attenzione di un’UE che comunque, forse, alla fine, se ne sarebbe infischiata. Del resto comandavamo noi paesi latini. E la Spagna era sempre allineata sulle nostre posizioni.

Il giorno prima a Roma era venuto Markus Söder, da sei mesi nuovo cancelliere dopo le dimissioni di una Angela Merkel (ormai eletta sindaca di Ischia), a chiedere meno austerità e più indulgenza da parte del nostro governo Draghi. Il MESET, meccanismo europeo per la stabilita dell’economia tedesca, non bastava più per rimettere ordine in Germania. Dopo le sanzioni postume per lo scandalo Dieselgate a Volkswagen, Daimler, BMW e Audi, unita al sempre più diffuso fenomeno dello smart working che evitava tante persona a prendere la macchina, l’industria tedesca automobilistica non si era più risollevata e di conseguenza quella di tutto il Paese.

L’eco delle onde del mare cullavano le nostre chiacchiere, quattro amici italiani che si godevano i sacrifici dei propri nonni per un Paese in salute, trasparente e destinato a rimanere prospero. Guardavamo i nostri figli e sorridevamo. Pensavamo: “Non dovranno mai partire per stare bene”.

Poi mi sono svegliato e ho iniziato a preparare la valigia per rientrare.

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