Fila davanti al Vivantes Klinikum Prenzlauer Berg - Fröbelstraße 15, 10405 Berlin

«Io, tedesca: qui a Berlino non mi fanno il tampone neanche con la febbre. L’Italia è più attenta »

Una nostra amica tedesca ci racconta i suoi tentativi per fare il tampone a Berlino

di J.

Ho 62 anni, sono tedesca e risiedo a Berlino da alcuni anni dopo aver vissuto per circa 30 anni in Italia. Non ho problemi con la lingua e conosco sia il sistema tedesco che quello italiano. Vi racconto la mia esperienza perché penso che sia importante per capire sia perché i numeri ufficiali dei contagi a Berlino e più in generale in Germania sembrano così bassi sia per tutti i berlinesi che leggono il magazine e si chiedono come fare il tampone. Non voglio rivelare il mio nome perché lavoro nel pubblico.

Il mio ritorno dall’Italia e i sintomi

Io sono tornata a Berlino da Genova il 24 febbraio scorso. Nei primi giorni stavo bene, poi ho cominciato ad avere problemi di udito. Sono andata prima dal mio medico di base che, senza visitarmi, mi ha rilasciato un certificato per fare una visita specialistica dall’otorino. Sono andata dal mio otorino per farmi fare il certificato e non andare a lavoro per una settimana. Nei giorni successivi però si è alzata anche la temperatura, sempre tra i 37° e i 38° 38° con i tipici sintomi di influenza quale tosse, mal di testa etc, ho cominciato a pensare di avere contratto il Coronavirus e così è iniziata la mia odissea. Prima di tutto ho chiamato il mio ufficio. Lavoro nel pubblico, a costante contatto con il pubblico, soprattutto con persone straniere. Ho dichiarato che non stavo bene, che forse sarebbe stato bene avvertire chi fino a pochi giorni prima avevo frequentato quotidianamente, ma mi hanno detto che non avrebbero fatto nulla. Del resto poiché non sono “ufficialmente” una contagiata dal Coronavirus perché avrebbero dovuto avvertirli? Se non avevo i risultati di un tampone non dipendeva però dalla mia volontà. Io stavo e sto ancora facendo tutto ciò che viene consigliato per sottopormi al test.

Le mie telefonate alle hotline per il Coronavirus

Ho chiamato di nuovo il mio medico di base raccontando i sintomi. Mi ha detto che dovevo chiamare il numero verde per i casi di Coronavirus. Per quattro giorni consecutivi ho chiamato a più riprese l’hotline istituita a Berlino, lo 030 90282828. Non solo funziona solo dalle 8 alle 20 dal lunedì al venerdì, ma è sempre occupata. Parallelamente ho anche chiamato anche il numero di emergenza  nazionale, l’ 177 116 (Ärztlicher Bereitschaftsdienst), un servizio della mutua che ti mette a disposizione un medico che ti fa una diagnosi per telefono e eventualmente ti manda a casa un medico che ti visita. Solo tre volte però sono riuscita ad ottenere la linea, ma, dopo aver spinto tutti i tasti corrispondenti alle domande pre-impostate da una voce registrata, al momento di digitare il codice postale per far sì che un medico possa venire a visitarmi a Prenzlauer Berg, dove risiedo, è sempre caduta la linea.

Obbligata ad uscire

Impossibilitata a ottenere una visita a domicilio  e obbligata a produrre un nuovo certificato per giustificare la mia assenza a lavoro ho cercato nuovamente di prendere un appuntamento con un otorino. Una missione impossibile o quasi. Tutti, anche quello che già mi aveva visitato, danno appuntamenti a settimane di distanza. Alla fine la segretaria dell’otorino da cui ero già andata mi dice di andare durante le ore di ricevimento a ritirare il certificato. Vado, chiedo se posso essere anche visitata, ma mi mandano via perchè per loro risulto ammalata e gli ammalati per paura del Coronavirus non vengono visitati. Nessuno nello studio però portava la mascherina, né il medico né le assistenti e nella sala d’attesa la distanza raccomandata di 1 metro tra l’uno e l’altro si riduceva a centimetri.

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Provarci e non riuscirci

Stamattina, lunedì 9 marzo, decido di cercare online informazioni su dove potere farmi il tampone, un posto fisico in cui finalmente togliermi il dubbio. Leggo sul Tagesspiegel che l’ospedale Vivantes a Prenzlauer Berg ha organizzato un tendone d’emergenza per fare il tampone. Piove. Prendo una tachipirina, mi metto la giacca e comincio il cammino. Non p molto lontano da casa, Arrivo. C’è una fila di 150 metri. La potete vedere nelle foto. Gira voce – confermatami poi da un conoscente che ha fatto la stessa trafila davanti ad un ospedale della zona di Tempelhof – che comunque non faranno più di 60 tamponi al giorno e il resto delle persone che aspettano saranno rimandate a casa. Lui dopo tre ore di fila è stato rimandato a casa. Io non posso con la febbre aspettare prendendo acqua e freddo e così torno a casa. Forse ho il Coronavirus, forse no. Non so come saperlo. E nel frattempo ho la febbre, non respiro e sento bene. Pagherei anche 300 € per fare il tampone privatamente senza ricorrere alla mia cassa malattia, ma nessuno sa come si faccia. Non lo sanno i farmacisti, non si trovano online informazioni mentre i medici non rispondo.

L’Italia è molto più trasparente nelle informazioni. Lo so perché ci sono appena stata, perché ci ho vissuto e perché ho ancora una parte della famiglia lì. Qui in Germania non si sa quanti tamponi siano stati fatti anche perché, semplicemente, la gente non sa come farsi fare il tampone. Se a Berlino sono così pochi casi perché questo è voluto.

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