Germania, tribunale condanna storica che parlò di relazione lesbica tra ebrea e guardia del campo di concentramento

La dottoressa Anna Hájková ha ricevuto una multa di 4.000 euro durante la battaglia legale tra lei e la figlia di una ex-detenuta in un campo di concentramento

La corte regionale di Francoforte ha multato la storica dell’Università di Warwick per avere violato un’ingiunzione durante il processo che vede come protagoniste lei e la figlia di una ex-detenuta in un campo di concentramento. La dottoressa Hájková sostiene che la donna in questione abbia avuto una relazione omosessuale con una delle guardie SS del campo. Uno degli avvocati coinvolti nel processo sostiene che la professoressa di Storia Moderna dell’Europa Continentale abbia violato la dignità della donna con la sua affermazione. Ad aprile era già stato dichiarato dalla corte che la professoressa non potesse usare il nome e le foto della donna (deceduta 10 anni fa) in qualsiasi contesto in cui si affermava che avesse avuto una relazione omosessuale con una guardia delle SS senza avere prima il permesso della figlia. Uno degli avvocati della figlia sostiene che questa ingiunzione è stata violata poiché materiale sull’argomento scritto dalla Hájková circolava ancora online. Un’altra ex detenuta che si trovava nella stessa camerata della donna ha a sua volta dichiarato che non aveva visto alcun elemento che poteva suggerire l’esistenza di una relazione tra le due, «Quando [la guardia] veniva nella camerata si sedeva sul letto della donna, con la schiena rivolta verso di me […] parlavano e ridevano. Ma non c’era alcuna possibilità di svestirsi o cose del genere, la guardia se ne andava prima che spegnessero le luci».

Le affermazioni della professoressa

La dottoressa Anna Hájková conduce da tempo ricerche sulla possibilità dell’esistenza di relazioni omosessuali all’interno dei campi di concentramento, affermando che la maggior parte dei documenti e delle testimonianze sull’argomento siano sempre stati messi da parte a causa della forte omofobia che esisteva all’epoca. Per quanto riguarda la donna al centro di questa disputa, Gerda (nome fittizio), sarebbe stata, secondo l’affermazioni della professoressa, la persona amata da una guardia delle SS che lavorava nel campo di concentramento di Amburgo. La coppia sarebbe stata molto chiacchierata tra i prigionieri del campo, ma la dottoressa stessa ha ammesso che non ci sono prove effettive che documentano queste dichiarazioni. Sempre secondo le dichiarazioni della professoressa, la guardia era talmente innamorata di Gerda da averla seguita quando è stata spostata in altri due campi di concentramento. Infine, credendo di poter avere un futuro con la donna durante la liberazione dei campi di concentramento del 1945 si sarebbe finta a sua volta una prigioniera per poi essere scoperta ed essere condannata a due anni di prigione da una corte inglese.

La risposta della figlia

La dottoressa Hájková ha contattato la figlia della donna nel 2014, quest’ultima aveva confermato l’interesse della guardia nei confronti di sua madre, parlando di come l’avesse aiutata a sopravvivere all’interno del campo, ma ha negato l’esistenza di una relazione sessuale tra le due donne. «Sia io che mia sorella sapevamo che nostra piaceva alla guardia e che aveva ricevuto favori speciali da lei. Ma non era una relazione fisica. Ha detto specificatamente che non è mai stata abusata fisicamente o sessualmente», ha detto la figlia. L’anno scorso, vedendo che la professoressa aveva usato il nome e delle foto di sua madre per sponsorizzare alcune letture sulla sua ricerca, la donna è rimasta scioccata. Ha deciso quindi di denunciare la Hájková poiché in Germania esiste una legge specifica che tutela la reputazione delle vittime dell’Olocausto per evitare che la loro reputazione possa essere diffamata. L’avvocato della professoressa aveva cercato di difendere la sua cliente sottolineando il diritto alla libertà di pensiero e di parola nella ricerca accademica, la Hájková si è giustificata dicendo di aver “semplicemente dimenticato” la promessa fatta alla figlia di non usare il nome della donna nella sua ricerca. La figlia ha inoltrato anche una richiesta all’università di Warwick richiedendo forti sanzioni disciplinari nei confronti della professoressa.

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Foto:  © LAPI/Roger Viollet/Getty

 

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Immagine di copertina: Torretta del campo di concentramento di Buckenwald ©Bundesarchiv, Bild 183-1983-0825-303 / Jürgen Ludwig / CC-BY-SA 3.0