Mario Adorf, Milano Calibro 9

Un film racconta come il calabro-tedesco Mario Adorf sia diventato icona del cinema mondiale

Si intitola ‘Sarebbe potuta andare peggio’ e ripercorre la pluridecennale carriera dell’attore tedesco

Può incutere un certo timore trovarsi davanti Mario Adorf, un omone gigantesco con una faccia che pare sempre parecchio incazzata. Se poi pensiamo al violento malavitoso Rocco Musco di Milano Calibro 9 (ricordate la scena in cui ammazza una persona sbattendogli la testa su un comodino?), l’apprensione aumenta. Ma è proprio il suo aspetto che gli ha fatto guadagnare centinaia di ruoli soprattutto nei panni del ‘cattivo’. La sua recitazione versatile gli ha permesso di ricoprire ruoli in film dai generi più svariati, dall’horror al western, dai film d’autore ai poliziotteschi italiani degli anni ’70 dividendosi tra Hollywood, l’Italia e la sua madrepatria. Con più di 60 anni di carriera alle spalle Adorf è riuscito a diventare un’icona del cinema mondiale, tanto che, nel 2006, la rivista Unsere Besten lo inserisce al secondo posto nella classifica dei migliori attori tedeschi di tutti i tempi. Dopo essere stato nella giuria nel 2007, ritorna alla Berlinale 2019 come protagonista di un documentario dedicato alla sua straordinaria carriera: Es hätte schlimmer kommen können (Sarebbe potuta andare peggio).

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Adorf non manca di raccontare anche alcuni particolari scomodi della sua vita

Adorf nasce a Zurigo nel 1930, figlio di un’infermiera, Alice Adorf e di un medico calabrese, Matteo Menniti, che non lo riconoscerà mai. Scopriamo che, giovanissimo, era entrato nelle fila della Hitler Jugend, la Gioventù Hitleriana, suscitando le ire della madre. Una scelta, «dettata dalla stupidità giovanile» di cui ancora oggi si pente «Hitler, ci aveva sedotti e poi fregati, quando oggi sento che esistono ancora persone che abbracciano la sua dottrina mi viene il voltastomaco». Ricorda il suo esilarante provino per entrare a studiare recitazione all’Accademia Otto Falkenberg di Monaco quando, durante la sua prova sul palco, cadde e rimase a terra disteso per la vergogna ma «fui miracolosamente preso, uno dei professori mi disse che due cose l’avevano colpito di me: la forza e l’ingenuità». Dopo aver recitato nei teatri di Monaco, grazie al suo fisico immenso e alla faccia ‘da cattivo’ ottenne il suo primo ruolo di successo, interpretando un assassino maniaco sessuale in Nachts, wenn der Teufel kam (Ordine Segreto del Terzo Reich) diretto da Robert Siodmak nel 1957. Da quel momento la carriera di Adorf avrebbe preso il volo. Lavorò per alcuni dei più grandi registi tedeschi come Rainer Werner Fassbinder ma arrivò anche a recitare in colossali produzioni holliwoodiane come Il Padrino di Franci Ford Coppola. Ma, al di fuori della Germania, è il cinema italiano che gli spalanca le porte.

Mario Adorf durante la conferenza stampa di presentazione del documentario ©Marco Gobbetto

Mario Adorf durante la conferenza stampa di presentazione del documentario ©Marco Gobbetto

Dagli anni ’60 l’Italia diventa la sua seconda patria

Dal 1961, anno in cui gira A cavallo della tigre di Luigi Comencini, diventa una delle star di Cinecittà. Ci mostra il piccolo attico in cui, per trent’anni, ha vissuto nel centro di Roma, e viene fermato da tutti coloro che l’avevano conosciuto. Esilarante la scena in cui, seduto da solo in un bar, viene avvicinato da un’anziana signora per un autografo. La giovane coppia seduta sul tavolino di fianco si gira e guarda Adorf, interrogandosi su chi possa essere quel vecchio sconosciuto. Racconta di quando ha girato Milano Calibro 9, ruolo che l’ha consacrato come icona del poliziottesco anni ’70. Ma ammette che quel ruolo gli andava stretto  «non mi piaceva girare quel genere di film. In una scena dovevo uccidere un uomo spaccandogli la testa su un mobile, era una cosa troppo violenta per me». Nel documentario ricorda anche come la Mafia fosse penetrata nel cinema italiano «in La mala ordina c’era un giovanissimo attore che non sapeva recitare. L’ho detto al regista Fernando di Leo che, per tutta risposta, mi ha confessato il fatto che quello era il figlio di un ‘Don’ e lì doveva rimanere». Era anche diventato pericoloso per lui girare quei film perchè «a causa della mia corporatura non riuscivano a trovare una controfigura decente, tutte le scene, anche quelle più pericolose, dovevo girarle io. Neanche mi ricordo quante volte ho rischiato di morire». Nonostante la sua fama sia arrivata con film di serie b, che solo molto tempo dopo diventarono dei cult movie, lavorò con i più importanti registi del cinema italiano come Luigi Comencini, Dario Argento e Dino Risi. Nelle ultime scene vediamo Adorf preparare il suo spettacolo Zugabe (Bis) che lo porterà in vari teatri tedeschi e che rappresenterà il termine della sua lunga ed estremamente prolifica carriera di attore. Parafrasando il titolo del documentario, meglio non sarebbe potuta andare.

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Berlino Schule tedesco a Berlino

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