«Io, ricercatrice all’estero, dall’astrofisica in Italia alla biomedica nei Paesi Bassi»

Giulia, ricercatrice di 27 anni, ha deciso di dare una svolta alla sua vita all’estero, nei Paesi Bassi

«a 16 anni ho visitato un osservatorio e mi sono innamorata delle galassie, delle stelle. Da quel momento ho capito che avrei voluto intraprendere degli studi relativi all’astronomia. Inizialmente, sia i professori a cui chiedevo suggerimenti che i parenti mi sconsigliavano questo tipo di percorso, avevano paura che fosse troppo difficile, ma io ho continuato per la mia strada e ora faccio un dottorato». Giulia Sereni, 27 anni, da più di un anno fa ricerca presso l’università di Twente a Enschede, città a est dei Paesi Bassi. «Ho fatto la triennale a Padova e la specialistica a Bologna, laureandomi in astrofisica con una tesi su un telescopio ottico. A studi conclusi, ho iniziato a cercare lavoro in Europa e sono stata contattata dall’università di Twente: dopo un primo colloquio su Skype hanno subito organizzato un volo, da loro pagato, per incontrarmi di persona. Tre giorni dopo l’intervista ero lì a conoscere il capo del progetto, i professori e gli ipotetici colleghi. Non è stato facile, mi hanno fatto diverse domande e messa alla prova con un esame pratico: ho dovuto costruire un Setup ottico (assemblaggio di componenti ottiche: laser, lenti, specchi, obiettivi microscopici), ottenere dei dati da analizzare e scrivere un report finale. Mi hanno presa.»

La tecnica che si usa per guardare le stelle è la stessa che viene utilizzata al microscopio per migliorare gli studi umani

«Faccio ricerca per il Biomedical Photonic Imaging Group (BMPI), un gruppo di lavoro che si occupa di creare delle tecnologie ottiche per diagnosi mediche. In particolare, mi occupo di quello che in gergo tecnico viene chiamata ottica adattiva, e lo applico alla microscopia. Questa è una tecnica sviluppata principalmente in astrofisica, per guardare le stelle. Viene adottata anche in campo biomedico per studiare il cervello umano, collaborando con i neuroscienziati. Solo nel mio team siamo 15 dottorandi, due professori e due assistenti: siamo conosciuti per essere uno dei gruppi più legati, ci apprezziamo e collaboriamo molto insieme.

Differenze tra la ricerca in Italia e nei Paesi Bassi: «Gli italiani partono svantaggiati, poi però hanno una marcia in più»

«Nel pratico siamo indietro rispetto agli altri però, essendo abituati a studiare, impariamo tutto velocemente. La mia preparazione in Italia mi ha dato delle buone basi ed è stata completa. Mi ha insegnato il giusto modus operandi per applicare quello che mi serve e fare ricerca. Nonostante questo, non ci sono abbastanza soldi né per il materiale né per fare ricerca. All’estero i laboratori hanno più finanziamenti, nei Paesi Bassi è tutto più veloce e vogliono investire per migliorarsi costantemente. Se necessito di qualcosa per le mie analisi, in due settimane ricevo quello che ho ordinato. In italia, se andava bene, dovevo aspettare sei mesi: il progetto diventava vecchio, preso da altri o già risolto. L’università di Twente (TU) è grandissima, ed è l’unico campus nei Paesi Bassi. All’interno ci sono il parrucchiere, negozi, la Coop, la banca e la palestra, sembra una piccola città. I dipendenti possono fare attività sportiva gratuitamente, posso seguire i corsi senza pagare perché sono considerate attività per tenersi in salute: qui i lavoratori devono essere sostenuti sia fisicamente che psicologicamente. Una volta all’anno possiamo fare anche una visita medica completa, pagata dall’università. In laboratorio gli orari sono molto flessibili, lavoro in un ambiente molto umano. Nonostante tutte queste agevolazioni, l’Italia mi manca. Non so ancora cosa voglio fare «da grande», ma non escludo l’idea di poter tornare a casa, diventare un’insegnante delle superiori non mi dispiacerebbe e con un dottorato ho delle buone possibilità.

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Immagine di copertina: Foto di Giulia