Ai Weiwei lascia Berlino: «Società tedesca chiusa, ho subito razzismo»
Dopo quattro anni vissuti a Berlino, l’artista cinese Ai Weiwei lascia la Germania
Ai Weiwei ha deciso di lasciare la capitale tedesca dove risiede dal 2015. «La Germania non è una società aperta» ha recentemente dichiarato l’artista dissidente in un’intervista al giornale Welt. «È una società che vuole essere aperta, ma che soprattutto protegge se stessa. La cultura tedesca è così forte che non accetta altre idee e argomentazioni». Tra le motivazioni della scelta, episodi razzisti vissuti in prima persona e la censura alla Berlinale.
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Episodi razzisti giustificati dalle autorità come “differenze culturali”
A supporto della sua visione sulla società tedesca, Ai ha riportato diversi episodi razzisti avvenuti nella capitale. Tra questi, ha raccontato di essere stato cacciato più volte dai taxi. In seguito alla denuncia dei fatti, le autorità di competenza avevano risposto che non si trattava di episodi razzisti ma di «differenze culturali». La replica dell’artista è stata amaramente ironica: «Questo mi ricorda il governo cinese che giustifica le sue violazioni dei diritti umani come “differenze culturali” rispetto l’Occidente». Inoltre Ai ha più volte criticato le istituzioni tedesche per non aver denunciato apertamente l’inosservanza dei diritti umani da parte del governo cinese.
Le critiche verso la censura alla Berlinale
Ai Weiwei non ha solamente incontrato razzismo, ma anche problematiche con istituzioni culturali tedesche, in primis la Berlinale. L’artista aveva diretto un capitolo del film “Berlin, I love you”, ma tale capitolo non era apparso nella versione finale presentata al festival di febbraio. Ai Weiwei aveva denunciato la produzione, che era anche coinvolta nella realizzazione del film “Shangai, I love you”. «Il produttore temeva che inserire il mio episodio potesse danneggiare le loro possibilità». Ciò si riferisce al fatto che in Cina, le opere di Ai Weiwei sono censurate. Perciò avere il nome dell’artista in un film su Shangai, non avrebbe consentito loro di diffonderlo nel paese.
«Non ho una patria perchè la Cina mi ha rifiutato da quando sono nato»
La personalità controversa di Ai Weiwei si divide tra arte e impegno umanitario. È nato in una famiglia di intellettuali e fin da piccolo ha imparato ad essere un dissidente: a causa di idee contrastanti con il regime comunista cinese, la famiglia è stata spedita in un campo di lavoro. Influenzato dall’arte di Duchamp e Warhol, la sua attività artistica è iniziata dal trasferimento a New York. La rottura con il governo cinese si è avviata ufficialmente nel 2008, quando in seguito ad un violento terremoto erano crollate diverse scuole. I crolli erano dovuti all’utilizzo di materiale di scarsa qualità e il governo cinese aveva sottostimato il numero delle vittime. Ai aveva esortato la popolazione a stilare un elenco dei ragazzi deceduti e la reazione del governo è stata l’oscuramento del suo blog. Negli anni successivi il governo cinese ha tentato di fermarlo in ogni modo: dalla demolizione del suo studio nel 2010, all’arresto per evasione fiscale a cui era seguita una tremenda detenzione di 81 giorni in una località segreta. Nel 2015 Amnesty International gli ha assegnato il premio Ambassador of Conscience. Sempre nello stesso anno, il governo cinese gli ha restituito il passaporto, permettendogli indirettamente di portare la sua arte ovunque.
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Immagine in copertina: Ai Weiwei, © Alfred Weidinger, CC BY 2.0