Dogs of Berlin, la nuova serie Netflix sulla criminalità nella capitale tedesca. Il nostro commento
Il 7 dicembre scorso è uscita la prima stagione di Dogs of Berlin, seconda serie tedesca prodotta per Netflix dopo Dark. Un telefilm avvincente che è prima di tutto un ritratto disincantato della società berlinese odierna
Poliziotti corrotti, criminali di origine turca, droga e i neo-nazisti di Marzahn. Dogs of Berlin, seconda serie tedesca realizzata per Netflix, delinea uno spaccato inquietante della società berlinese dei nostri giorni. La serie è stata ideata da Christian Alvart, regista, produttore e sceneggiatore tedesco, salito alla ribalta con Pandorum – L’universo parallelo (2009), thriller fantascientifico ambientato all’interno di una navicella spaziale. Le prime immagini di Dogs of Berlin sono state rese note nell’aprile 2018, dopo ben cinque mesi di lavoro. Il telefilm, a metà tra dramma e poliziesco, è costituito per il momento da una sola stagione di dieci episodi.
https://www.youtube.com/watch?v=uzcDBHjHePk
Dogs of Berlin: la trama
A Berlino due poliziotti indagano sull’omicidio di Orkan Erdem, famoso calciatore di origine turca. L’assassinio, avvenuto in maniera efferata, mette la capitale tedesca in uno stato di eccitazione crescente. Erdem, infatti, non è un personaggio qualunque: è turco ma ha deciso di giocare per la nazionale tedesca, cosa che ha attirato su di sé l’odio dell’estrema destra da un lato, e della “tradita” comunità turca dall’altro. L’episodio peraltro avviene alla vigilia dello scontro calcistico tra Germania e Turchia per la classificazione ai Mondiali: è chiaro quindi che la presenza o meno sul campo del fortissimo calciatore deciderà le sorti di entrambe la squadre. La lista dei sospetti è lunga: i neo-nazisti di Marzahn, il cui obiettivo è preservare la purezza della “razza” germanica dall’avvento dei Kanake (è così che vengono denominati in maniera dispregiativa gli appartenenti alla comunità arabo-turca), i clan legati alla famiglia della vittima, e infine la mafia berlinese. A dover indagare sull’omicidio sono due poliziotti singolari quanto diversi tra loro: Kurt Grimmer, tedesco, proveniente da una famiglia neo-nazista – il fratello manifesta un’ammirazione spasmodica per il Führer, tanto da averne copiato il look – e Erol Birkan, turco, trattato con poco riguardo a causa delle sue origini. Il primo è corrotto, disonesto e indebitato. Conduce una doppia vita famigliare e, pur di salvaguardare i propri interessi economici, fa di tutto affinché l’omicidio venga tenuto lontano dagli occhi indiscreti dei media. Il secondo, al contrario, è corretto e ligio al dovere, e paradossalmente ha a cuore le sorti di una città dove l’odio razziale cresce in maniera vertiginosa giorno dopo giorno.
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«Ai turchi non piaceva che giocasse con la Germania e all’estrema destra ancor meno. Ci sarà una guerra tra razze.»
Tutto vero o semplice frutto di una mente creativa? Tutto vero, almeno per quanto riguarda il contesto politico e culturale su cui la trama si dipana. Dogs of Berlin, infatti, attinge a piene mani dalla realtà socio-economica berlinese. Esistono i clan malavitosi turchi, che nel corso degli anni si sono appropriati in maniera capillare anche delle zone più ricche della capitale tedesca, così come esistono i neo-nazisti di Marzahn. Negli ultimi anni il quartiere più a est di Berlino ha fatto parlare molto di sé a causa dei gravissimi problemi sociali che attanagliano i suoi abitanti. In particolare, disoccupazione e precariato hanno incentivato atteggiamenti xenofobi e razzisti. Non è un caso che l’omicidio di Orkan Erdem in Dogs of Berlin avvenga proprio a Marzahn. Merito della serie è quello di aver tratteggiato uno spaccato di società berlinese rimasto a lungo nell’ombra. L’immagine che ci è sempre stata data di Berlino, infatti, è quella di una società aperta, tollerante, multiculturale. Sopravvive il mito di una capitale alternativa, che si nutre e gloria della libertà successiva alla caduta del Muro, dove sfrenatezza e trasgressione sono all’ordine del giorno. Dogs of Berlin, al contrario, ci fa aprire gli occhi su uno scenario di non poco conto e sembra chiedere al pubblico: qual è il confine tra multiculturalismo e integrazione? La semplice convivenza di diverse etnie all’interno di una stessa città è sufficiente a garantire pace e convivenza civile? Le domande che pone sono tante e complesse, speriamo di ottenere dopo l’ultima puntata anche le risposte giuste.
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Immagine di copertina: Screenshot Youtube