14 motivi per cui è ancora bellissimo vivere a Berlino (nonostante la gentrification)
Negli ultimi anni il volto di Berlino è profondamente mutato. La capitale tedesca è sempre stata, complice la sua storia, fortemente votata al cambiamento, una sorta di Baustelle a cielo aperto. La metamorfosi attuale, però, presenta dei tratti totalmente nuovi, per una città abituata da sempre a remare in direzione ostinata e contraria. Berlino ha mille anime: anarchica e comunista, punk e fricchettona, ecologista e LGBT, tutte fondamentalmente accomunate da una matrice antagonista. Ciò che però qui non aveva attecchito mai, se non incidentalmente, è il fantasma del neoliberismo e dell’omologazione di massa.
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Lo spettro dell’omologazione. Ultimamente si fa un gran parlare di gentrificazione, di speculazione edilizia e commerciale, di una città che sta smarrendo la sua identità – qualunque cosa questo termine possa significare, in un posto che di identità ne ha infinite – più ruvida e autentica per assimilarsi sempre più, nella sua urbanistica, nella sua socialità e nelle forme di vita che la attraversano, alle altre metropoli asettiche e normalizzate dell’Occidente tardocapitalistico.
Addio alla Berlino povera ma sexy? La Berlino che ha fatto innamorare intere generazioni, arm aber sexy, economica e alla mano, per molti versi sta scomparendo e si osserva impotenti Blu che fa harakiri coi suoi graffiti simbolo a Kreuzberg, prima che glieli divori l’ennesima colata di cemento. Squat, centri sociali e club storici si vedono costretti a chiudere i battenti, mentre mandrie sterminate di turisti-zombie pascolano nell’Eden del consumo globalizzato, il Ku’damm, tra una capatina da H&M, un beverone da Starbucks e una pizza da Vapiano.
Un clubbing che non è più anti-sistema. Non so voi, ma a volte mi sento piuttosto angustiato quando sento di monolocali di 40 mq che costano 900€. E resto perplesso se penso che migliaia di ragazzi si piegano mansueti alle ferree regole della vita notturna berlinese e alle sentenze dei suoi Minosse, i buttafuori, in quella che ormai è più un’industria del divertimento perfettamente integrata al sistema che una reazione libertaria alla sua repressione.
Berlino resta un posto magnifico. Poi, però, mi fermo un attimo a riflettere: Berlino è una capitale che si avvia a raggiungere i quattro milioni di abitanti e che ciononostante conserva un equilibrio difficilmente riscontrabile altrove tra vivibilità, storia, cultura, arte, natura. Ed è una metropoli in cui civiltà e organizzazione non fanno mai rima con la noia artefatta del decoro. Al di là di queste considerazioni più generali, provo a richiamare alla memoria impressioni, dettagli, angoli della città, emozioni suscitate dal suo incatalogabile fascino. E arrivo alla irrefutabile conclusione che sì, Berlino è ancora un posto magnifico: nonostante la gentrification, l’aumento folle dei prezzi e gli aperitivi hipster. Nonostante l’incombere del cemento, i dettami del dress code e la morte della street art. Qui di seguito ho elencato alcuni motivi per cui vivere a Berlino è ancora bellissimo. Sono 14, ma avrebbero potuto essere cento. O mille.
1. Il segnale acustico di chiusura porte della S-Bahn, che mi fa immancabilmente pensare a Train di Paul Kalkbrenner e Berlin Calling (per quanto continui a trovare quel film un po’ sopravvalutato).
2. L’emozione di fronte alle sfumature impossibili, di rosa, arancione e blu di Prussia, dei tramonti berlinesi.
3. Il silenzio, la pace e gli scoiattoli che ti attraversano la strada all’interno del Tiergarten.
4. L’inevitabile rimando a Franco Battiato e Milva ogni volta che passo per Alexanderplatz.
5. L’autoironia e i sorrisi di chi si esibisce al karaoke domenicale del Mauerpark.
6. La passione tutta tedesca per l’antichità che si respira nel Pergamonmuseum dinanzi alla porta di Ishtar, alla porta del mercato di Mileto, all’altare di Pergamo (anche se quest’ultimo, al momento, è chiuso al pubblico per restauri).
7. La coesistenza di dolore e memoria lungo le cicatrici del Muro a Bernauer Straße, simbolo di una lacerazione durata trent’anni.
8. La malinconia e il grigiore solenne della Karl Marx Allee, spezzati dall’insegna giallo elettrico della Karl Marx Buchhandlung (quella della scena finale de Le vite degli altri).
9. Gli Yogi sugli Straßenschilder, ovvero l’amore tutto berlinese per l’estetica del dettaglio.
10. La volontà che ha Berlino di creare spazi di socialità e sprazzi di bellezza in cimiteri postindustriali, terrazze di centri commerciali (come il Klunkerkranich) o in un semplice lavanderia (come il Waschsalon Freddy Leck a Moabit).
11. La casa del vecchio leone Osman Kalin, che è rimasta in piedi in una sorta di no man’s land durante gli anni del Muro e ancora resiste a ogni ingerenza del potere a Bethaniendamm, in zona Kreuzberg.
12. La capacità e la forza di Berlino di essere un perenne cantiere multiculturale, tentando al tempo stesso di non smarrire una propria anima.
13. La consapevolezza politica di una città che ha sempre respinto Pegida e in cui ovunque si può leggere refugees welcome e kein Mensch ist illegal (nessun uomo è illegale).
14. Una frase di Friedrich Schiller all’ingresso di un Kindergarten (asilo) a Ottopark, che ognuno di noi dovrebbe scolpirsi nel cuore: «Mensch ist nur da ganz Mensch, wo er spielt» («l’uomo è interamente uomo solo quando gioca»). In fondo è un po’ la massima a cui si ispira Berlino. E che rende questa città e i suoi abitanti davvero irripetibili.
Foto di copertina: Berlin, October 2005 © James Evans – CC BY-SA 2.0
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