Intervista Umberto Eco

5 minuti della leggendaria intervista di Umberto Eco a Theodor Adorno

Nel 1966 Umberto Eco intervistò il filosofo Theodor Adorno per la trasmissione Zoom

Eco all’epoca aveva solo 34 anni, ma già aveva firmato diversi saggi di filosofia e semiotica. Theodor Adorno ne aveva 66 (morì poco dopo, nel 1969). L’incontro è una piccola perla delle teche Rai. Argomento principale della discussione fu il ruolo della televisione nella società contemporanea e come gli intellettuali dovrebbero/non dovrebbero relazionarcisi. Le risposte di Adorno non sono di immediata comprensione, anzi meritano studio e approfondimento, ma hanno la capacità di fornire importanti spunti di riflessione sulla gestione dei mezzi di informazione, al di là del fatto che ora le nuove generazioni utilizzino più i social network come fonte di notizie che i tradizionali giornali o televisioni. Sessant’anni dopo Eco si espresse, proprio sull’incapacità di molti di utilizzare correttamente le potenzialità dei social con parole abbastanza critiche: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

 

Un piccolo estratto dell’intervista di Eco a Adorno

Eco: «Ci sono qui da noi uomini di cultura che affermando talora anche di interpretare il suo pensiero sostengono che l’ intellettuale di fronte ai mezzi di comunicazione di massa, come ad esempio la TV, ha una sola possibilità: ritirarsi sdegnosamente nel silenzio. Lei è d’accordo?»

Adorno: «Capisco molto bene il significato di questa domanda. È come dire: come puoi tu, Adorno, che ti poni in questo atteggiamento nei confronti della televisione e dei mezzi di comunicazione di massa, non servirti poi di questi stessi mezzi? Rispondo semplicemente che non ci si può isolare nel silenzio, farsi da parte. Ciò si risolverebbe semplicemente in una ricaduta al di sotto del livello della tecnica. Al contrario, bisogna cercare per quanto è possibile, e nel migliore dei modi, di dare agli strumenti una funzione nuova, cioè fare, nell’ambito di questi mezzi, cose che superino i confini della cultura dominante dell’ideologia commerciale. E siccome questa libertà esiste, si ha non solo il diritto, ma vorrei dire il dovere intellettuale di compiere un tale lavoro critico, all’interno di questi stessi mezzi di massa. Ma io sono un dialettico incorreggibile e ciò si sente nelle mie parole».

Chi è Theodor Adorno

È stato uno dei più importanti filosofi del XX secolo, nato a Francoforte sul meno nel 1903 divenne uno dei punti di riferimento del pensiero dell’Università della sua città diventando, di fatto, il cosiddetto capofila della Scuola di Francoforte. La Treccani racconta come «fin dalla giovinezza Adorno si proclama marxista: si tratta di un marxismo, però, prevalentemente filosofico, recepito attraverso le opere del primo Lukács e di Korsch, e mai approfondito sul piano dell’analisi economica». Del marxismo ad A. interessa soprattutto il metodo dialettico. Pur esprimendo un’adesione di fondo al materialismo storico, A. (come Horkheimer) si impegna al tempo stesso in campi di indagine e applica metodi molto lontani dal marxismo ortodosso. Basti pensare all’influsso che Freud e la psicanalisi esercitano su di lui, influsso percepibile in molti suoi lavori sociologici, soprattutto in «The authoritarian personality», dove l’autoritarismo, il razzismo e il fascismo sono esaminati e spiegati attraverso un metodo psicologico e sociale a un tempo. Profondo studioso di Husserl, A. ne condivide l’atteggiamento critico verso la scienza moderna, verso il naturalismo e lo psicologismo, nonché verso il formalismo della logica contemporanea, anche se poi A. ritiene che Husserl non abbia saputo soddisfare le valide esigenze da lui sollevate. Nonostante i suoi meriti, infatti, Husserl è caduto in una forma di descrittivismo fenomenologico, che diventa spesso una mera accettazione dell’esistente e dunque, di nuovo, una forma di positivismo. La concezione filosofica di A. è in realtà profondamente influenzata da Hegel, secondo tre aspetti principali: egli ritiene che il reale abbia un significato e possa essere compreso mediante gli strumenti della ragione; che il reale consista nella sua processualità storico-dialettica; che soggetto e oggetto non costituiscano due sfere eterogenee e autonome. La filosofia di Hegel (in particolare la sua critica dell’intelletto) influisce non poco anche sulla critica di Adorno all’Illuminismo e alla scienza: tanto l’uno che l’altra si basano sul principio della razionalità analitica, accettano positivisticamente il reale così com’è e mirano soltanto a inserirlo o a riprodurlo all’interno di operazioni tecnico-pratiche, le quali però mostrano sempre che il dominio dell’uomo sulla natura implica il dominio dell’uomo sull’uomo, che la razionalità della scienza è astratta e oppressiva, perché tratta gli uomini come oggetti, esprimendo in ciò le tendenze più profonde della società borghese. La stessa ispirazione negativa e antipositivistica caratterizza gli studi musicologici di A., per il quale la musica, in quanto esprime le contraddizioni della società, nega la situazione esistente, prospetta la necessità di un suo superamento e indica il passaggio a una condizione interamente nuova.

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