Un artista afroamericano ha realizzato una serie di magliette con i commenti razzisti ricevuti a Berlino
Isaiah Lopaz ci ha raccontato il motivo per cui ha deciso di stampare commenti razzisti su delle magliette
«Una campagna contro il razzismo? No, spesso i media la descrivono così, ma in realtà la serie “Things You Can Tell Just By Looking At Him” (“Cose che puoi dire soltanto guardandolo”) documenta il modo in cui le idee e i commenti razzisti si muovono attraverso il linguaggio. Sono nero e gay e, anche se non mi identifico come attivista, sono profondamente impegnato a difendere i diritti delle persone di colore. Il mio lavoro principale consiste nel parlare di razzismo tramite arte e centri culturali. Ci sono così tanti accademici neri, autori, storici e attivisti che hanno fatto e continuano a fare questo lavoro. Rifletto spesso su questo: i neri hanno parlato di razzismo per centinaia di anni. Ed è davvero peccato che le persone di colore siano costantemente tenute a educare le persone bianche riguardo al razzismo. Viviamo in un mondo che gode del grande lavoro di persone come Grada Kilomba, Angela Davis, Gloria Wekker, Fatima El Tayeb, solo per nominarne alcune. Il mio progetto è semplicemente un’eco del modo in cui la società in cui viviamo pensa e si esprime. E questo modo, purtroppo, è profondamente razzista».
La storia di Isaiah Lopaz e del perché si è trasferito in Germania
«Mi identifico come afroamericano, “Geechee”, indigeno. Vengo da una famiglia della classe operaia, sono nato nel 1979 in California, a Inglewood, vicino Los Angeles. I miei nonni sono emigrati dal Sud America (Florida, Texas e Mississippi) intorno agli anni ’40 durante il periodo denominato “grande migrazione”, alla ricerca di migliori condizioni di vita. A causa delle mie origini ho subito spesso commenti razzisti. Ricordo ancora che una volta, quando ero bambino, un mio compagno di scuola mi disse di tornare in Africa dato che sono nero, e mia nonna mi consolò facendomi capire quanto il lavoro forzato degli afroamericani avesse in realtà fortemente contribuito a formare la cultura e la storia americana: anche noi eravamo a tutti gli effetti americani. Perché ho deciso di lasciare l’America trasferendomi in Germania? Volevo continuare i miei studi in ambito artistico e iscrivermi al Master di Belle Arti. Da bambino ero appassionato di scrittura, ma poi i miei interessi si sono spostati verso la fotografia e l’arte. Ho vissuto per un periodo a Francoforte sul Meno, prima di approdare a Berlino su consiglio di un amico. L’impatto è stato davvero scioccante: a Los Angeles non mi era capitato di percepire tanta ostilità.»
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«Certo, il razzismo è profondamente radicato in America, ma in Germania…»
«Qui mi sono trovato a vivere qualcosa di diverso: avere la pelle scura a Berlino significa confrontarsi ogni giorno con gli stereotipi e con un clima di continua ostilità. Ed è un vero peccato, perché le possibilità di lavoro sono senza dubbio tantissime. Per un artista è il luogo ideale per avviare un’attività o dei progetti.» Questo, però, non basta: Isaiah Lopaz a Berlino non si è mai sentito davvero libero. «In quanto nero e gay qui non ho mai percepito la libertà di esprimermi per ciò che sono. Il razzismo ci costringe a un continuo stato di emergenza per le persone di colore e pervade ogni relazione: di lavoro, di amicizia, d’amore. Ho vissuto in altre città in Europa e, sì, certo, ho sperimentato anche lì forme di razzismo, ma città come Londra, Amsterdam e Bruxelles non sono al livello di Berlino. La differenza? Il razzismo diventa più di un’esperienza che si subisce, diventa un vero e proprio sistema. La conseguenza è che in questo modo comportamenti e commenti razzisti sembrano essere autorizzati.»
Com’è nata la serie “Things You Can Tell Just By Looking At Him”
«Ho avuto diverse fonti di ispirazione, tra queste, la serie di Franchesca Ramsey “Shit White Girls Say To Black Girls“, “I Too Am Harvard Campaign” e “Signs That Say What You Want Them To Say And Not Signs That Say What Someone Else Wants You To Say” di Gillian Wearing. Ho deciso di stampare sulle magliette commenti razzisti perché sono parte della quotidianità a Berlino. Mi capita spesso di essere fermato da gente bianca che mi chiede se ho droga da vendere. È assurdo, non mi drogo, non fumo nemmeno! Spesso mi guardano con sospetto quando mi vedono per strada. Così una volta, mentre ero a letto e riflettevo su tutti questi incontri spiacevoli, ho deciso di annotare tutti i commenti razzisti che ricordavo e di farli diventare una serie di frasi da stampare sulle magliette. Mi sono basato sulla mia esperienza diretta e ho deciso di raccontarla indossando io stesso le magliette.» Come ci ha raccontato Isaiah Lopaz, la serie non è in vendita. Perché? Spesso gli è stato chiesto di farlo, ma ha sempre rifiutato. «Sarebbe come vendere il mio diario. E poi mi dispiacerebbe vedere altre persone di colore andare in giro con queste magliette. Voglio evitare che si creino situazioni pericolose o addirittura violente.»
“Things You Can Tell Just By Looking At Him” ha avuto un grande successo, ma…
A pochissimi mesi dall’uscita della serie, Isaiah è stato contattato dal New York Times. Così, in poco tempo, “Things You Can Tell Just By Looking At Him” ha avuto un grandissimo successo mediatico: giornali cartacei e online, radio e tv ne hanno parlato e hanno chiesto a Isaiah di intervistarlo. A volte, però, è stato difficile spiegare le vere intenzioni che lo hanno spinto a intraprendere questa iniziativa e anche alcune richieste dei giornalisti non sono state opportune. «Sembrava che alcuni non si rendessero conto di quanto il razzismo sia radicato nella società in cui viviamo. Una volta è capitato anche che un giornalista, mentre mi stava facendo una foto per l’articolo, mi chiedesse di sorridere. Mi ha detto che il mio sguardo sembrava troppo conflittuale. Io indossavo una t-shirt su cui c’era scritto “Non hai cultura perché vieni dagli schiavi”. Riuscite a immaginare che vi dicano di sorridere mentre indossate qualcosa di così razzista?»
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Immagine di copertina e immagini nel testo: © Concessione di Isaiah Lopaz