«Terremotati in tenda, immigrati in hotel extralusso»: quegli sciacalli del web che non sanno mai tacere
Benevento, la mia città, è un piccolo capoluogo della Campania. Una cittadina di provincia e, come tale, uno specchio piuttosto attendibile del Paese. Ieri un suo “cittadino”, dopo il terremoto che ha devastato il centro Italia, ha pensato bene di dire la sua con questo post su Facebook:
Di status così, nelle ultime ore, se ne sono registrati a centinaia ovunque, palesando un tragico dato di fatto, ormai evidente da tempo: siamo un Paese razzista. Il terremoto del Reatino non ha solo mietuto 241 vittime, purtroppo destinate ad aumentare, e frantumato borghi bellissimi ed edifici pubblici non a norma (la scuola di Amatrice “Romolo Capranica”, totalmente sbriciolata dalle scosse, era stata inaugurata nel 2012 e dichiarata antisismica). Ha spaccato in due anche la società italiana, negli ultimi tempi sempre più polarizzata.
Sì, perché c’è una frattura nettissima tra i tanti, tantissimi sciacalli rabbiosi che in queste ore, senza il minimo senso dell’opportunità, hanno infestato il web con i loro deliri su migranti e alberghi di lusso e coloro che hanno veramente a cuore il territorio e la comunità cui appartengono: i primi, spesso a loro volta vittime di burattinai senza scrupoli, tracciano continuamente dicotomie immaginarie fra disperati, mentre i secondi provano a restare umani e a offrire solidarietà concreta. Penso ai dieci richiedenti asilo del centro di accoglienza sannita “Damasco”, partiti come tanti altri migranti da tutta Italia per dare una mano alle zone terremotate. O, per restare al microesempio beneventano, ai ragazzi del Centro Sociale Autogestito Depistaggio, che da oggi fino a sabato raccoglieranno generi di prima necessità per portarli, domenica, nelle zone colpite dal sisma.
Invece quale contributo stanno dando, precisamente, questi sciacalli che schiumano odio? Eppure, fin da ieri mattina, sono fiorite tante iniziative di solidarietà: code nei centri trasfusionali per donare sangue, raccolte fondi tramite sms (al numero 45500, costo di due euro) e bonifico, persone che tolgono la password al wi-fi di casa per agevolare le comunicazioni, raccolte di cibo e vestiti, privati e alberghi che mettono gratuitamente a disposizione case e stanze, cuochi, medici e psicologi volontari che partono volontari per offrire le loro competenze.
Siamo abituati a premier in passerella elettorale tra i container; imprenditori che si fregano le mani, ridono e lucrano sui cadaveri dell’Aquila; giornalisti che rovistano tra macerie e drammi; politici che fomentano guerre tra poveri approfittando delle catastrofi: alla miseria umana degli sciacalli non c’è mai fine. Ma l’Italia sa anche avere un cuore grande: lo ha dimostrato in tante occasioni, può e deve farlo anche stavolta. Oltre a imbruttire i minus habens salviniani sui social (un dovere sacrosanto, sia chiaro) e a invocare (invano?) una messa a norma delle infrastrutture del nostro Paese, che ci toglierebbe finalmente dallo stato di emergenza permanente ed eviterebbe che ogni calamità naturale si trasformi in una carneficina, mobilitiamoci pure concretamente. In prima persona, senza delegare. Stringendo legami disinteressati sul territorio, che rafforzino il nostro tessuto sociale in senso solidaristico. È nei momenti di crisi che si decide quale volto si vuole dare al proprio Paese.
Foto di copertina: Amatrice after the earthquake © Firenzepost – CC BY-SA 3.0