Petronia soror – Racconto di una scrittrice esiliata italiana a Berlino
Pubblichiamo un racconto di Ilva Fabiani*, scrittrice italiana a Berlino, già autrice di Le lunghe notti di Anna Alrutz, (Feltrinelli, 2014) . “Ho scritto un breve racconto-resoconto epistolare sulla chiusura delle frontiere e la sensazione di angoscia che questo ha provocato in noi expats”
Petronia soror,
è da un settimana che ho paura.
Quando ho visto i camion militari portare via le salme da Bergamo, in una fila ordinata, lenta e mesta, all’improvviso ho avuto paura. Torneremo a essere quelle di prima? Come un palombaro Tu a Monaco, lontana da Parigi, io a Berlino, altrettanto lontana da Roma, in questa Europa che chiude i confini, confisca le mascherine e fa morire di freddo migliaia di profughi sul fronte orientale dell’impero. Come un palombaro che intuisce già La Grecia da culla diventa prigione e bara, e noi assistiamo impotenti al vanificarsi di un sogno, quello di un’Europa coesa, generosa e libera. Torneremo a essere quelle di prima? Siamo state adottate da un altrove che ci ha donato un lavoro, una casa e una prospettiva. Con mezzi veloci e senza controlli di frontiera abbiamo varcato il confine ogni volta che lo desideravamo. Abbiamo imparato una lingua nuova, inciampando su errori maldestri, ne abbiamo riso e talvolta tratto profitto. E ci siamo sentite, se non al posto giusto, in qualche modo a posto.
Ma ora le amiche d’infanzia chiamano. Parlano la lingua dei nostri avi, ci dicono di disagi quotidiani e di resistenze cantate sui balconi. E il caro amico, quello con cui volevamo festeggiare il primo manoscritto, si fa sentire anche lui, e gli dico che festeggeremo quando tutto sarà finito. Come un palombaro che intuisce già che la fune verso il mondo esterno Quando, sarà finito? E quando, torneremo a essere quelli di prima, io e lui? La paura che le cose si complichino a tal punto che non sia più possibile tornare è una nuova dimensione della paura. È la sete che ti prende fulminea quando ti dicono che chiuderanno le tubature. Gli aerei restano a terra, le frontiere si accartocciano su di sé, i droni diffondono una voce metallica e ordinano di non uscire. Come un palombaro che intuisce già che la fune verso il mondo esterno è stata strappata Il nuovo codice etico si chiama: restare a casa e lavorare, cibarsi di netflix e di raggiungibilità, e se qualcosa serve, gli schiavi di Amazon la consegneranno a domicilio. Domicilio? Cos’è il domicilio per chi vive altrove? Un saltello fra due mondi, per concludere che in tempi di peste non è più possibile saltellare come pulci sui confini, ma occorre definire una dimora durevole, per il proprio corpo e i propri sogni. Terribilmente difficile, soprattutto se fino a un mese fa si pensava di poter vivere senza dover decidere. Come un palombaro che intuisce già che la fune verso il mondo esterno è stata strappata e che egli non verrà mai più tirato fuori Eroi dei due mondi ci sentivamo, il mio e il tuo, il mio e il loro, è indifferente, è comodo, è meglio avere due patrie che una, due case piuttosto che una sola, due lingue in cui pensare, due lingue in cui leggere.
Ma ora la paura chiude i confini e spezza quel filo e quella possibilità che credevamo stabile. Da pulci che saltano sui confini diventiamo esiliati, ed entriamo di buon diritto nel limbo degli esiliati di tutto il mondo e di tutti i tempi. E il disìo che intenerisce il core, al tramonto, e i dolci amici, bussano alla porta, e richiedono cura e attenzione.
Cerco le parole di uno di loro, e le trovo in Stefan Zweig, Die Schachnovelle, l’ultimo racconto che scrisse prima di morire. “wie ein Taucher unter der Glasglocke im schwarzen Ozean (…) ahnt, dass das Seil der Außenwelt abgerissen ist und er nie zurückgeholt werden wird aus der lautlosen Tiefe” (Come un palombaro che intuisce già che la fune verso il mondo esterno è stata strappata e che egli non verrà mai più tirato fuori da quelle profondità senza suono.).
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Photo: Pixabay CC 0