Ora Angela rischia di perdere davvero contro gli sciacalli delle destre populiste
La Germania deve trovare la forza per restare «aperta, unita, libera»: dopo il gravissimo attacco di Breitscheidplatz Angela Merkel prova a non perdere la rotta e a ribadire la linea politica tenuta dalla Germania negli ultimi due anni sulla questione migranti. Sarebbe «insopportabile», ha detto la Cancelliera, «se si scoprisse che questo terribile gesto è stato compiuto da un uomo che in Germania ha ricevuto rifugio e asilo. Terribile per i cittadini tedeschi, che tanto si sono impegnati nel favorire l’integrazione dei rifugiati. Ma terribile anche per tutti quei migranti che sono arrivati in Germania cercando realmente protezione», spesso da forme di orrore molto simili a quello visto all’opera nel centro di Berlino.
Mentre scriviamo il quadro della situazione che aveva spinto Angela Merkel a queste dichiarazioni è già profondamente mutato: il richiedente asilo pachistano inizialmente arrestato è stato rilasciato, l’Isis ha rivendicato l’attentato, la polizia è sulle tracce di un giovane tunisino dalle molteplici identità cui sarebbe stato negato l’asilo e concessa soltanto la Duldung, il permesso momentaneo in attesa di rimpatrio. L’identità e la storia del colpevole (o dei colpevoli) avranno impatti molto differenti sull’opinione pubblica tedesca ma, al di là di ogni speculazione – ancora inopportuna – una cosa è certa: per la Germania e per la campagna elettorale della Merkel ora cambia tutto.
Che si tratti di un attentato pianificato meticolosamente o, come diversi dettagli sembrano già indicare, del gesto solitario di un perdente radicale, la strage di Breitscheidplatz riuscirà molto probabilmente a realizzare l’intento di chi l’ha pensata o quantomeno istigata: spaccare in due un Paese che ha avuto un ruolo in fondo marginale nei bombardamenti in Siria e in Iraq e che ha aperto le porte a centinaia di migliaia di profughi. Una Germania che dunque, pur con tutte le sue contraddizioni, costituiva finora un ostacolo all’instaurazione di quell’immaginario manicheo – fedele-infedele, amico-nemico – necessario tanto agli islamisti quanto alle destre neofasciste europee per alimentare la prospettiva dello scontro di civiltà.
Già, le destre neofasciste. Quando le vittime dell’attacco di Berlino giacevano ancora al suolo e non c’era alcuna informazione certa sulla dinamica dei fatti e sulla nazionalità dell’attentatore, Marcus Pretzell, esponente di primo piano di Alternative für Deutschland, ha dichiarato su Twitter che «Questi sono i morti della Merkel». Uno sciacallaggio politico rivoltante, cui tutte le destre populiste d’Europa si sono unite senza ritegno: Matteo Salvini vagheggiando processi per alto tradimento da Volksgerichtshof nazista, Nigel Farage sentenziando che tragedie come quella di Berlino costituiranno «l’eredità della Merkel», Marine Le Pen chiedendo la fine di Schengen. Ma il più disgustoso di tutti è stato Geert Wilders, leader xenofobo e ultranazionalista olandese in testa ai sondaggi per le prossime politiche, il quale ha postato un tweet che ritrae la Merkel con le mani e il volto sporchi di sangue.
Questa irresponsabile strategia della tensione rischia di avere facile gioco sugli inviti alla razionalità, alla calma, a non scadere in una logica binaria che non è in grado di decifrare la complessità del nostro mondo. Non ci stupiremmo, insomma, se nei prossimi mesi Alternative für Deutschland conquistasse milioni di voti gettando in pasto ai cittadini tedeschi legittimamente spaventati deliranti proposte xenofobe e dozzinali semplificazioni. Uno scenario drammatico, perché partiti come AfD sono perfettamente funzionali alla narrazione tossica dello scontro di civiltà propagandata dallo Stato Islamico. Frauke Petry, Salvini, Farage finiscono così ironicamente per essere pedine speculari e opposte al Califfato e suoi alleati nel provocare una polarizzazione manichea delle nostre società.
Respingere proposte folli e anacronistiche come il ritorno ai confini nazionali, la militarizzazione totale dei nostri spazi, la guerra dichiarata a un miliardo e mezzo di musulmani, non è però purtroppo sufficiente. Così come non lo è limitarsi ad affermare che “bisogna continuare a vivere come prima perché non si può darla vinta ai terroristi”. Il terrore si è insinuato nell’immaginario e nella quotidianità degli occidentali: i leader che sottovalutano questo aspetto, alla fine perdono e vanno a casa.
Angela Merkel dice con onestà di non avere risposte semplici, se non quella di continuare a inseguire un equilibrio sempre più precario tra accoglienza e sicurezza, responsabilità e consenso. Ma la Cancelliera sa bene che stavolta, alle elezioni politiche dell’autunno 2017, rischia concretamente di perdere: dopo lo shock di Colonia, gli attentati di luglio a Monaco e in Baviera, le molteplici batoste elettorali subite nei Länder, l’omicidio di Maria Ladenburger a opera di un minore afghano, un 2016 vissuto pericolosamente si chiude nel peggiore dei modi: l’indicibile si è materializzato nel cuore di Berlino, che si scopre improvvisamente fragile. Un vulnus difficile da dimenticare per i tedeschi, perché il camion impazzito, oltre agli sventurati passanti, ha voluto simbolicamente colpire la famiglia tedesca e i turisti che si godono sereni il Natale, la Gedächtniskirche emblema di pace, i viali scintillanti dello shopping e dell’opulenza capitalistica, la libertà di movimento e di acquisto.
Qualche settimana fa la Merkel ha ricompattato il congresso della CDU imprimendo una parziale svolta a destra che placasse le ire dei falchi: andavano in questa direzione la proposta di vietare il burqa «quando sia legalmente possibile» e l’avvio dei rimpatri in Afghanistan, definito ipocritamente “Paese sicuro”. Staremo a vedere se la CDU, preoccupata dall’erosione dei consensi, proseguirà in questa nefasto inseguimento dell’elettorato più reazionario. Finora la Merkel ha rispedito al mittente la richiesta di fissare un tetto agli arrivi di migranti avanzata da Horst Seehofer, leader della CSU.
Per una lunga serie di ragioni, chi scrive è tutt’altro che un fan di Angela Merkel, simbolo di un’Europa di austerity ed espressione di un partito cristiano-conservatore. Ma chiunque, anche il detrattore più severo, dovrà riconoscerle una dote propria soltanto dei grandi statisti: perseverare nella linea politica scelta come la migliore per il proprio Paese, senza modificarla ad ogni sussulto nei sondaggi. E, se le uniche alternative disponibili sono Alternative für Deutschland e il sonno della ragione (la coalizione rosso-rosso-verde vittoriosa a Berlino sembra un lontano miraggio a livello nazionale), non resta che sperare in una sua riconferma.
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Foto di copertina © Screenshot YouTube – ZDF