Ogni maledetta estate nel centro/nord Europa un espatriato ripensa a se sarebbe così male tornare a vivere in Italia
Sprazzi di bel tempo, ma soprattutto piogge, cieli grigi e tanta depressione.
Vivo a Berlino da circa 9 anni. Era aprile, anno 2009, quando nella mia classe di tedesco, livello A11, mi trovai davanti ad un esercizio apparentemente semplice. Associare le figure che vedevo sul libro di testo ai nomi delle stagioni. In una c’era una baita sommersa di neve, in una un viale alberato ricoperto di foglie gialle e rosa, in una un bel sole e gente felice su un prato a fare picnic e in un’altra persone con l’ombrello che cercano riparo sotto il portico di un palazzo. Rimasi un po’ interdetto, di una cosa ero sicuro, quell’immagine con la neve rappresentava l’inverno, ma le altre tre? Andai per esclusione: quella con il migliore tempo possibile, ovvero sole doveva essere l’estate. A seguire associai la pioggia all’autunno e, per esclusione, il fogliame sul viale alla primavera, magari una primavera un po’ strana, le foglie del resto erano anche rosa e si intravedeva il sole all’orizzonte. Fui l’unico a sbagliare in tutta la classe. Il fogliame era l’autunno, il picnic era la primavera e l’estate era il temporale. Ebbene sì, in Germania l’estate è associata a tuoni e fulmini. Un’informazione così assurda che per qualche minuto provai anche a fare polemica prima di essere zittito sia dai compagni di classe che, in un secondo momento, ma non lo dissi a nessuno, dalla realtà. D’estate, a Berlino e nel nord Europa, piove più che nel resto dell’anno e c’è meno sole che in primavera.
Oggi
È il 26 luglio 2017 e non ho mai visto, in nove anni di Berlino, un’estate così deprimente. Da aprile ad oggi ci saranno stati una decina di giorni di vero sole e riesco a ricordarmi esattamente cosa ho fatto appena me ne sono reso conto guardando attraverso la finestra: ho rosicato. Sì, perché su 10 solo un paio sono stati durante il fine settimana. Gli altri me li sono goduti dall’ufficio. Il che, ad ogni modo, è sempre meglio che niente. Non accendere quelle insopportabili luci al neon, ma godersi un po’ di luce naturale, avere la percezione che se solo potessi uscire un po’ prima dal lavoro o se solo avessi il coraggio di provare a prendermi un giorno di malattia appena capisco che sì, oggi potrei mettermi sul mio minuscolo balcone e provare a non sprecare tutti quei raggi ultravioletti che altrimenti sbatterebbero sulla mia finestra, ecco, già questo sarebbe qualcosa, già questo alzerebbe il mio umore. E invece nulla. Pioggia. E grigio. E freddo. Non ho ancora rimesso il piumone a riposare nei cassettoni. È un’entità che da giugno appare e scompare dal letto. Quando non è lì, è a portata di mano appoggiato sulla scrivania. Qualche giorno fa, quando per tre giorni consecutivi intorno alle 10 del mattino la temperatura era fissa tra i 14 e 15 gradi ho avuto la tentazione di accendere il termosifone. E mettermi a piangere.
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E agosto si avvicina. Da bravo italiano medio i primi anni all’estero le ferie le prendevo sempre ad agosto. “Agosto in città non si può”. Però l’agosto in una città del centro o nord europa a volte ti sembra, o meglio, ti convinci che sia meglio che a gennaio, febbraio, marzo o aprile, direi soprattutto aprile, quando hai la percezione che da un momento all’altro arriverà la primavera, ma la primavera non arriva. E allora, dopo quattro anni di abitudini da italiano, ho cominciato a pianificare le vacanze “in maniera intelligente”. Luglio e agosto a Berlino, vacanze in Italia o altrove ad aprile o novembre. “Perché così mi godo la città quando è al suo massimo splendore” dissi convinto più da leggende metropolitane che da esperienze di vita vissuta visto che, come detto, a luglio e agosto normalmente cercavo di partire. Le prime – brutte estati – pensavo che fossero un’eccezione. Ok, il prossimo anno però sarà diverso. Mi sbagliavo. Non è mai veramente estate. Non c’è mai una settimana consecutiva di bel tempo. Lo so, è un cliché. Lo so, qui c’è il lavoro e lì no. Lo so, è una critica da italiano medio, ma chissà, forse è quello che sono: da alcuni anni ogni volta che arriva l’estate, mi ritorna in mente il Mago Merlino di La spada nella roccia che grida “Honolulu” e scompare dalla vista di Re Artù e del gufo. Le mie Hawaii però sono l’Italia. La detesto dai giornali, la amo dai ricordi di estati adolescenziali che non sembravano finire mai. Quando il lavoro e la frustrazione per un Paese che non ti sosteneva davvero era un problema da affrontare più in là, quando si sarebbe diventati grandi. E il sole, erroneamente, era dato per scontato. Non lo è.
Ps: Mentre in metropolitana stamattina pensavo a questo sfogo ho visto un tizio che metteva al suo cane l’impermeabile. E mi sono depresso ancora di più.
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