Marinus Van der Lubbe, l’uomo che diede fuoco al Parlamento di Berlino per cambiare il mondo

Alla fine ce l’ho fatta a cambiare qualcosa. L’ho fatta talmente grossa da costringere un paese a reintrodurre la pena si morte solo per punire me, Marinus Van der Lubbe da Leiden. Volevo cambiare il mondo in modo diverso, volevo che l’ideale comunista trionfasse, volevo andare in Unione Sovietica, che i Compagni uscissero dal loro torpore e che la Germania si ribellasse a questo destino di camicie brune e nere che se ne vanno in giro a passo d’oca…volevo tante cose ma devo accontentarmi della ghigliottina a 25 anni.

La gente mi ricorderà, il come non mi importa: in questi ultimi mesi sono stato un piromane, un folle squilibrato, un anarchico, un facinoroso, il braccio armato del partito, il migliore amico che i Nazisti abbiano potuto desiderare… in effetti sono confuso io, figuriamoci gli altri. Per quel che ne so potrei davvero aver fatto tutto da solo: rompere una finestra e dar fuoco ad una stanza non sono imprese impossibili. Figuriamoci per me! Qualche anno fa mi chiamavano tutti Dempsey, come il pugile… ero forte come un toro. Se mi vedessero adesso così magro chissà se mi riconoscerebbero…

ll fatto è che non me lo ricordo se ero solo, lo giuro. Ero nudo e stordito quando mi hanno ritrovato e mi hanno detto che con me non c’era nessuno. Io il Reichstag lo volevo vedere distrutto per davvero, avrei usato anche il quadruplo della forza per sbriciolare con le mie mani quel simbolo di dittatura… Ho creduto a quello che mi hanno detto. Ci avreste creduto anche voi dopo ore di tortura. Ho anche confessato, non ne potevo più. Dempsey ero un tempo, ora non più.

Quei nazisti della pubblica accusa hanno tirato dentro con me altri quattro Compagni, ma era ovvio, gli faceva comodo: i comunisti sono il pericolo da eliminare, tanto valeva tirarne in ballo il più possibile. E poco importa che ne siano usciti tutti da innocenti. A loro ne bastava solo uno: io sono il pretesto vivente per cancellare la libertà ad un popolo intero. La cosa che più mi ha fatto male è che anche quelli che prima erano miei alleati mi hanno rinnegato: secondo loro ho aiutato i nazisti, ho acceso la prima fiamma usando i miei vestiti mentre le SA spargevano intere taniche di benzina per terra.

Ma ora non mi importa più: voglio solo sparire il prima possibile, uscire velocemente dalla cella 203 del carcere di Moabit, voglio scappare dalle catene ai polsi e ai piedi, alla luce sempre accesa giorno e notte e correre incontro al boia a braccia aperte. C’è solo un’unica cosa che non mi perdonerò mai di aver fatto: è colpa mia se quel maledetto di Hitler ora è il padrone incontrastato di milioni di vite.

In ogni caso mancano poche ore alla fine, il mio senso di colpa durerà poco…Non scriverò alla mia famiglia, non chiederò la grazia né cambierò quello che ho detto; la mia confessione l’hanno già avuta i giudici: ho fatto tutto da solo perché è tutto quello che credo di ricordare. Che senso ha un’attesa di nove mesi per un reo confesso? Il resto di questa storia scomparirà con me sottoterra: le voci di corridoio, i complotti e anche i fatti reali: tutto verrà buttato sotto una lapide senza nome. La gente che verrà dopo dirà e penserà quello che vuole, è giusto così. La verità è che la verità non fa comodo a nessuno. E non servirà a salvarmi.

01 Marinus van der Lubbe tijdens zijn proces. 1933

Marinus Van der Lubbe, nato a Leiden (Paesi Bassi) il 13 Gennaio 1909 è l’unico colpevole riconosciuto dell’incendio che distrusse il Reichstag il 27 Febbraio 1933.
Giudicato in via definitiva e condannato alla pena capitale, fu giustiziato il 10 Gennaio 1934 a Lipsia.
Dopo 74 anni di dibattimento, nel 2008 la Procura Federale di Giustizia tedesca ha dichiarato illegale la sua condanna a morte.

(Le parole e i pensieri attribuiti a Marinus Van der Lubbe sono una mia libera interpretazione basata però su dati certi e fatti realmente accaduti)

Foto: © Geheugenvannederland.nl

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