“Berlino crocevia di artisti. Molti vengono, pochi rimangono”
Ospite alla redazione di Berlino Magazine, Ludovico Pratesi presenta l’imminente mostra “We Love Art. Vision and Creativity Made in Italy” e fa luce sullo stato dell’arte contemporanea in Italia e in Germania.
Dal 25 agosto al 25 settembre 2022, all’Aufbau Haus di Berlino, sarà possibile visitare la mostra “We Love Art. Vision and Creativity Made in Italy”, curata da Ludovico Pratesi e Marco Bassan. Il progetto è stato ideato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in collaborazione con Fondazione Cassa Depositi e Prestiti, e il fine ultimo è quello di indagare il complesso rapporto che intercorre tra arte e industria nella società contemporanea. Incontriamo il curatore e critico d’arte Ludovico Pratesi per sapere di più dell’iniziativa, degli artisti che esporranno e del destino dell’arte contemporanea in Italia.
«Otto artisti italiani under 35 hanno visitato altrettante aziende e hanno realizzato delle opere a seguito dei sopralluoghi nelle sedi»
«I sopralluoghi sono stati un elemento ispirazionale per quanto riguarda l’incontro tra industria e arte. Le otto opere realizzate dagli artisti hanno viaggiato e sono state accolte in maniera positiva e diversa». L’itinerario espositivo di “We Love Art.” ha preso avvio nella città di Seoul ed è proseguito per Chongqing, New York, Città del Messico e Il Cairo. «Non tutte le sedi hanno creato un contesto ideale. In Oriente, le sedi di Seoul e Chongqing sono state istituzionali. A New York, Messico City e Il Cairo la mostra è stata allestita nelle sedi degli Istituti Italiani di Cultura, per cui l’accoglienza è stata chiaramente diversa. Una cosa è avere uno spazio che si inserisce già nel mondo locale e un’altra è avere una sede che privilegia un pubblico italiano. L’accoglienza è stata comunque buona e da Berlino ci aspettiamo un’accoglienza ancora maggiore. Clb è un’ottima sede e siamo molto contenti».
«Gli artisti sono stati selezionati per curriculum»
«Abbiamo incrociato artisti italiani under 35 che avevano i seguenti requisiti: un curriculum nazionale e internazionale, partecipazioni alle mostre italiane e all’estero, una galleria italiana che li rappresentasse e l’interesse per una committenza di questo genere. Le opere sono per la maggior parte tridimensionali, ma non soltanto. Sono state realizzate appositamente per questa mostra: non si tratta di opere riciclate e alla fine dell’itinerario entreranno a far parte della collezione permanente della Cassa Depositi e Prestiti che le ha acquistate».
«L’Italia non è un Paese che ha una politica forte nel mondo dell’arte contemporanea internazionale»
«È un Paese che soffre della prevalenza dell’arte antica; l’Italia la considera ancora identitaria anche se è paradossale. Gli artisti italiani che vivono in Germania e che sono cresciuti in questo Paese – parlo ad esempio di Rosa Barba – hanno un eccellente curriculum e una carriera internazionale che però dipende dal territorio tedesco e non dall’Italia. Per gli artisti italiani è molto difficile arrivare nei contesti internazionali perché la loro fama all’estero non è quasi mai molto forte. In questo caso abbiamo l’onore di avere Giulia Cenci che è stata invitata alla Biennale di Venezia. L’invito è arrivato dopo la nostra selezione per cui, in quale modo, abbiamo visto giusto. È chiaro che per un artista italiano che vive e lavora in Italia non è semplice entrare nel contesto internazionale. Ci sono una serie di regole di cui gli artisti italiani o sono ignari o sono inconsapevoli».
Nel 2017 hai pubblicato “Perché l’Italia non ama più l’arte contemporanea”, oggi presenti “We Love Art”. Quale riflessione si cela dietro la scelta di un titolo così antitetico?
«Il titolo non è mio, ma è stato voluto dal Ministero. Io ovviamente sono contento e penso che questo sia un primo tentativo di dare agli artisti italiani una possibilità in più di essere visti all’estero attraverso un coinvolgimento diretto». Pratesi anticipa un ulteriore progetto che è in fase di realizzazione: “We Love Science“. «Gli artisti andranno a visitare otto laboratori scientifici di eccellenza e produrranno entro la fine di quest’anno delle opere che viaggeranno per ventiquattro mesi nelle sedi diplomatiche italiane nel mondo. Il Ministero degli Esteri sta mostrando un amore che fino a poco tempo fa, quando avevo scritto il libro, non c’era. Devo dire che dal 2015, grazie al Ministro Franceschini, l’Italia ha cominciato ad avviare un programma molto ben gestito che si chiama “Italian Council“: questo permette agli italiani di fare qualche cosa. Si tratta di briciole rispetto a quanto fanno altri Paesi, ma almeno abbiamo iniziato anche noi qualcosa che prima non facevamo. Adesso amiamo un po’ di più l’arte contemporanea… Forse non quanto basta per essere competitivi nel mondo, ma un po’ di più!».
«L’italiano considera l’opera d’arte un prodotto fatto con le mani»
L’arte contemporanea è il riflesso della società, eppure non sempre riusciamo a comprenderla. «Il mondo in cui viviamo è molto complesso; e poi si tratta di una cosa legata all’Italia. L’italiano considera l’opera d’arte un prodotto fatto con le mani. Nel resto del mondo l’arte è un prodotto intellettuale e questa è una grossa differenza che rende il nostro Paese più laterale. Nel mercato tedesco e in quello americano – leader in questo campo – l’artista è un personaggio sociale o un intellettuale; da noi è un artigiano. C’è una discrepanza».
In Italia dobbiamo imparare le regole del mondo, smettere di fare eccezioni e lavorare con le stesse regole degli altri. Noi purtroppo siamo affascinati dalla nostra diversità ma questo in realtà è un problema. Dobbiamo essere seri e pensare che l’arte è un pensiero; bisogna smettere di credere che l’Italia sia solo arte antica e provare a essere più internazionali. Siamo come una persona che va a un club di scacchi: fa la prima partita e butta in aria la scacchiera! È divertente, ma il giorno dopo il club di scacchi ti sbatte fuori. L’Italia non capisce o non sa quali siano le regole del gioco».
«La bellezza è qualcosa di superficiale. Raramente va in profondità»
«Non amo la parola “bello” e non ho mai sentito un artista utilizzarla. Credo che per un artista la parola “bello” sia molto riduttiva. Un artista può essere forte, interessante, rigoroso, preciso, intenso».
«Quello che provoca sempre è la verità»
«Così come Caravaggio mise una prostituta al posto della Madonna: non è altro che una verità. Se il vangelo dice che la Madonna è tutte le donne, allora è anche una prostituta. Però mettere una prostituta al posto della Madonna era troppo forte. Penso che i casi di provocatorietà in arte siano sempre gli stessi, legati alle verità che non riusciamo ad accettare e che gli artisti ci fanno vedere perché ci invitano a riflettere. È questo il punto: raramente un italiano, quando guarda un’opera d’arte, pensa che sia una domanda e non una risposta».
«Molto spesso il mercato va dietro le mode e non dietro l’opera d’arte in sé»
«Il mercato ha delle regole particolari. Ci sono delle opere d’arte molto importanti che hanno pochissimo valore e altre che sono di moda, che raggiungono valori molto alti e che non sempre hanno un valore effettivo. Il mercato ha delle sue regole come la borsa. Personalmente ritengo che il valore di un’opera non sia misurabile solo in termini economici. Forse quasi mai. Però è vero che ci sono stati e ci sono degli artisti capaci a vendere delle opere a prezzi molto alti. Penso a un artista come Jeff Koons: produrre le sue opere è costosissimo e in un qualche modo è invitato a vendere a dei prezzi elevati».
«Se potessi spedire un’opera d’ arte contemporanea nello spazio o a una popolazione del futuro sarebbe il “Balloon Rabbit” di Jeff Koons»
«È un lavoro che parla molto di questa epoca. Sembra molto semplice e in realtà è molto complicato perché lavorare l’acciaio in quel modo è quasi impossibile. Quel lavoro parla di questa impossibilità e del fatto di utilizzare un materiale in un modo diverso. Parla del packaging ed è un lavoro instagrammabile. Riunisce in sé pregi e difetti di questo periodo. Koons è un artista molto capace di raccontare in maniera agrodolce il tempo in cui viviamo».
«L’Italia ha creduto più in Botticelli che in Maurizio Cattelan»
«L’arte ha tante strade. La strada istituzionale dovrebbe essere la migliore ma parliamo di un Paese in cui non esiste un grande museo internazionale. Abbiamo il MAXXI che però non è uno dei più grandi musei del mondo. Siamo un Paese che ci ha creduto fino a un certo punto all’arte contemporanea: non la ama abbastanza da dare un grande contributo a livello internazionale. Se pensiamo che il grande museo che doveva trovarsi in Italia è ora in Spagna, capiamo meglio. Maurizio Cattelan non ha mai avuto una mostra istituzionale in Italia, in un museo pubblico intendo. Facendo un paragone fra due grandi mostre di livello mondiale: la Biennale di Venezia e la Documenta di Kassel. Alla Biennale di Venezia il 40% sono italiani e il 60% sono internazionali; in Germania è l’opposto: il 70% dei visitatori del Documenta sono tedeschi e il 30% sono internazionali. Questo è per fare capire quanto l’arte in Germania sia apprezzata e rispettata in quanto produzione di un pensiero, non di una mano. Questa è la vera differenza. Da noi l’arte è grande artigianato».
«Berlino è un crocevia, ma non è globale»
«In realtà Berlino non era un polo culturale importante come Colonia o Düsseldorf; non ha un grande museo internazionale e ci sono pochi collezionisti. I collezionisti vengono a Berlino, ma non vivono qui nonostante ci siano delle bellissime collezioni. Il collezionismo tedesco è perlopiù legato ad altri luoghi come Hannover, Amburgo, Colonia, Monaco».
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Immagine di copertina: Berlino artisti, Screenshot da YouTube