«Il mio era un lavoro come gli altri»: il racconto di Brunhilde Pomsel, la segretaria di Goebbels
Frau Brunhilde Pomsel, classe 1911, si descrive come un personaggio ai margini della scena, per nulla interessata alle decisioni che venivano prese nell’ufficio dove lavorava. Ma il suo non era un ufficio qualsiasi: dal 1942 al 1945 Brunhilde Pomsel fu la segretaria di uno degli uomini più influenti del Terzo Reich, il ministro della Propaganda Joseph Goebbels. Oggi più che centenaria, la Pomsel è una delle poche testimoni ancora viventi capace di raccontare ciò che il nazismo ha rappresentato per milioni di tedeschi. Le sue memorie sono presentate nel film A German Life, un lungo documentario di 113 minuti presentato al Filmfest München che vuole far riflettere sui rapporto tra morale e carriera e sulla disastrosa combinazione tra assenza di pensiero e ambizione. Frau Pomsel ha sempre sostenuto di essere rimasta all’oscuro delle decisioni prese dal suo capo, di aver preso per buone le informazioni sullo stato del Reich, della guerra e del problema degli Ebrei che le venivano date dai suoi superiori, senza farsi troppe domande e continuando a svolgere il suo lavoro. «Non succedeva quasi nulla lì», racconta in un’intervista al The Guardian. «Mi limitavo a svolgere la mia mansione tutto il giorno».
La carriera. Nata e cresciuta a Berlino, Frau Pomsel si descrive come un «prodotto della disciplina prussiana» che ha fatto la segretaria per tutta la vita. I suoi primi datori di lavoro furono un avvocato ebreo e un politico della destra nazionalista. Nel 1933, su suggerimento di un amico, si unisce al partito nazista. «Lo facevano tutti, perché non avrei dovuto farlo anche io?». Inizia così a lavorare nella radio del Reich. È brava e per questo le viene proposto un lavoro nel Ministero della Propaganda. «Dicevano fossi la dattilografa più veloce di tutte, per questo mi fu proposto il lavoro al Ministero». Nel 1942 la Pomsel inizia quindi a lavorare come segretaria nell’ufficio del ministro Goebbels, lavoro che continuerà a svolgere fino alla fine della guerra e al suicidio del suo capo. Dopo la caduta del Reich, fu catturata dai russi e trascorse cinque anni in prigione, per poi essere rilasciata nel 1950. Riprese così la sua vita iniziando a lavorare come segretaria per ARD, la televisione nazionale tedesca, fino al 1971, anno del suo pensionamento. Oggi Brunhilde Pomsel ha 105 anni e vive a Monaco; è una delle poche superstiti ancora in grado di raccontare i crimini a cui ha assistito, benché come spettatrice disattenta.
All’oscuro di tutto. «Anche se nessuno mi crede, io e le altre segretarie eravamo all’oscuro di tutto. Tenevano tutto segreto. L’unica cosa che facevo era dattilografare nell’ufficio di Goebbels». Quando racconta la sua storia, Frau Pomsel si sofferma a raccontare la figura del ministro della Propaganda. Parlando del suo capo ne descrive l’eleganza, il portamento, le mani sempre curatissime. Dalle sue parole emerge il ritratto del ministro come un uomo dedito al lavoro, capace però di trovare anche il tempo per i figli. Della politica Frau Pomsel non si interessava. Ricordando il discorso tenuto da Goebbels sulla guerra totale nel 1943, dichiara: «Non ho realizzato che cosa stesse dicendo Goebbels. Era strano vederlo trasformarsi in un oratore urlante capace di fomentare la folla, abituata com’ero all’uomo elegante e posato che ogni giorno entrava in ufficio. Non ho prestato attenzione alle sue parole, non mi interessavano. Fu stupido da parte mia, me ne rendo conto ora».
A German Life. «È un male, è egoismo se le persone che ricoprono certi ruoli cercano di fare qualcosa per loro stesse, anche se questo significa danneggiare qualcun altro?». Così inizia A German Life, il film del 2016 diretto da Christian Krönes, Olaf S. Müller, Roland Schrotthofer e Florian Weigensamer. I quattro registi hanno parlato con Brunhilde Pomsel per 30 ore, ricavandone un lungo documentario-intervista, capace di rivelare quella che Hannah Arendt ha definito la banalità del male. Oltre alle dichiarazioni della Pomsel, il film raccoglie materiale finora mai utilizzato, conservato nel Museo del memoriale dell’Olocausto di Washington e nell’archivio Steven Spielberg. I film che raccontano il nazismo, l’Olocausto, la vita delle sue vittime e dei suoi esecutori sono tantissimi. A German Life fa sicuramente parte di questo filone, ma lo scopo dei quattro registi è quello di far riflettere le generazioni di oggi sul nazionalismo e la sua capacità di cambiare il modo in cui le persone agiscono e si rapportano agli altri. L’eterna domanda «Che cosa avrei fatto se mi fossi trovato al loro posto?» sorge spontanea, soprattutto ora che il nazionalismo torna a crescere in molti Stati europei. Attraverso le parole e il racconto di Brunhilde Pomsel ci rendiamo conto della facilità con cui è possibile cadere negli ingranaggi del male senza rendersene conto, travolti dalla banalità del quotidiano: «Tutti quelli che oggi affermano si sarebbero opposti al regime nazionalsocialista credono sinceramente in ciò che dicono, ne sono certa. Ma la maggior parte di loro si sarebbe comportata proprio come me».
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Foto © A German Life