Gli italiani di ritorno in Italia con il proprio partner straniero possono rivelarsi insopportabili
Recentemente sono tornata nel nostro Paese e, al mio arrivo, ho provato una sensazione indescrivibile.
Ad accogliermi non ho trovato i colori e il cielo della mia città (fortunatamente, essendo io di Milano!), eppure mi sono sentita a casa grazie a quel profumo d’Italia talmente inebriante da farmi chiudere gli occhi. Trovandomi sulla scaletta dell’aereo, però, ho dovuto velocemente rimettere i piedi a terra – in tutti i sensi. Avevo infatti dietro di me una cospicua rappresentanza del popolo che ci ospita che mi sollecitava con l’inequivocabile e a noi tanto caro “schnell, schnell!“.
Durante quella mia breve visita in particolare, mi sono resa conto di come talvolta noi coppie italo-tedesche ci troviamo in situazioni al limite dell’assurdo. Insomma, qualcuno di noi ha mai pensato a quanto possiamo essere insopportabili nelle vesti di ciceroni dei nostri partner stranieri? Ci comportiamo come se fossimo ambasciatori del nostro Paese in trasferta, rendendoci in questo modo indiscussi protagonisti di situazioni grottesche.
All’aeroporto in attesa di imbarcarci
La colazione. “Vedi? Questi sono certamente miei connazionali: non fanno colazione come faccio io per colpa tua; ordinano semplicemente un croissant e un cappuccino, niente Nordseekrabbensalat o accoppiata uova e speck”.
In fila ai controlli dei bagagli a mano. “Guarda! L’ho sempre detto io che i voli low-cost non sono per tutti. Noi italiani, e mi ci metto pure io anche se sai bene che non è vero, non ce la facciamo proprio ad afferrare il concetto: ba-ga-glio pic-co-lo”
In aereo
Al primo raggio di sole. “Hai visto il mio sole? Quanto mi è mancato!”
“Mah, veramente siamo in volo da circa trenta minuti. È già tanto se siamo in Baviera, adesso”.
“No no guarda che io il mio sole lo riconosco!”
Quando vediamo uno scorcio delle nostre coste. “Che meraviglia, quanto mare! Ma tu lo sai che siamo una penisola? E che il nostro è un popolo di navigatori?” (In questo caso il plurale majestatis è davvero fuori luogo ché già il pedalò mi provoca ansia. Mentre lui è uno skipper)
All’arrivo in aeroporto
L’italiano, finalmente. Siamo arrivati a destinazione e, percorrendo il corridoio che ci porta al ritiro bagagli, veniamo bombardati da pubblicità scritte nella nostra lingua. Per qualche secondo ci sentiamo in un universo parallelo e poi iniziamo ad esternare il giubilo del nostro emisfero cerebrale sinistro: “Ah, finalmente dopo mesi e mesi!! È tutto scritto nella mia lingua, che sensazione incredibile. Ti rendi conto?!
“Nein”
“E tu, capisci cosa c’è scritto su quel cartellone?”
“Nein”
“Ecco vedi?! Come ci si sente?!”
“Guck! Unsere Koffer…” (Guarda! Le nostre valigie)
Quando ad attenderci ci sono i nostri genitori. “In Italia si esternano le emozioni senza alcun imbarazzo, quindi preparati a degli abbracci abbastanza appassionati..” “Hey papà fai piano che così lo stritoli!”
Quando dobbiamo raggiungere casa da soli. L’entusiasmo dell’arrivo è smorzato dalla triste realtà. Ebbene, stavolta niente scorciatoie: siamo in balia dei temutissimi mezzi di trasporto italiani. Nella mente scorrono immagini di noi che cerchiamo di opporci ai soliti stereotipi legati alla disorganizzazione italiana. Uno sguardo laconico è dipinto sul nostro volto mentre cerchiamo di carpire delle informazioni utili all’impiegato della biglietteria più scazzato dell’ultimo decennio, il tutto condito da una traduzione simultanea volutamente non precisa ma soprattutto e come di consueto non richiesta, quando all’improvviso – ed in perfetto orario – arriva il treno e noi esplodiamo in un coerentissimo: “Che cosa credevi? Che fossimo rimasti al dopoguerra?!”
Nella nostra città
Ci troviamo finalmente nella nostra città, ovvero il nostro regno. In quanto tale, essa racchiude i nostri segreti e uno scrigno di vissuti da far impallidire anche il più fantasioso tra gli sceneggiatori.
Finalmente si mangia. Vorremmo fargli provare tutto: dal croissant più buono, al miglior gelato, trancio di pizza, fritto misto, cappuccino, espresso – quello vero – per proseguire con il nostro negozio di scarpe da uomo preferito (e dove vorremmo lui ne acquistasse perlomeno un paio, ché si sa il rapporto che i tedeschi hanno con le calzature…)
Vorremmo che visitasse i nostri luoghi preferiti, anche se non ne esiste uno bensì ne abbiamo decine. Non solo, mentre gli raccontiamo sembra che abbiamo vissuto in ogni angolo e in effetti cosi è stato.
I nostri amici con la “a” maiuscola. Quelli ci aspettano sempre e non vedono l’ora di riabbracciare noi e il nostro amato, peccato che però sia più facile organizzare una chiamata su Skype con il presidente Obama che un aperitivo con almeno una minuscola rappresentanza dei nostri amici di una vita.
Che bella la mia città! Come da tradizione, la nostra città potrebbe tranquillamente essere la capitale d’Italia e non ci capacitiamo del fatto che non lo sia. Le parole d’ordine, in questo caso, sono principalmente due: “Guarda!” e “Foto!”
Al supermercato
I biscotti, questi sconosciuti. La tappa supermercato è in assoluto una delle primissime della lista e sebbene alcuni punti vendita tedeschi siano ben riforniti, per alcuni prodotti non c’è paragone con la scelta che troviamo nel nostro Paese. Entrare nelle cattedrali della grande distribuzione organizzata italiana ci riporta alla nostra infanzia e in particolare qualcosa ci amareggia: il reparto biscotti. Infiniti scaffali dai quali traboccano frollini di ogni tipo, le cui confezioni ci hanno tenuto compagnia durante le colazioni prima di andare a scuola e non esistevano gli smartphone. Negli anni siamo cresciuti e abbiamo scoperto che quelle leccornie contengono olio di palma e questo ha frenato il nostro entusiasmo, però ammettiamolo: chi di noi non si chiede come facciano questi tedeschi a vivere senza le gocciole?!
Le foto-testimonianze. “In Germania questo non c’è e nemmeno quello”. “Vedi quanto Parmigiano?” “Capisci che cosa s’intende con banco salumeria e formaggi? “Foto-foto-foto!”
“Sì, ma stai saltando da una parte all’altra”
“Qui siamo in Italia, nessuno può pensare che io sia pazza!”
Dopo una lunga serie di aperitivi, cene e chilometri tra le zone che ci hanno dato i natali siamo di nuovo in aeroporto e abbiamo già salutato i nostri genitori. Il buffetto di nostro padre sulla guancia ci inferisce il colpo di grazia.
“Non guardarmi così! Sì sto piangendo, e allora? Si chiamano e-mo-zio-ni”
“In realtà ti guardavo perché ho fame”
Questa frase o mancanza di empatia non ci disturba, anzi siamo orgogliosi del fatto che il cibo sia in cima alle sue priorità dopo il breve viaggio. Ma quanto ci fa brillare gli occhi è sentirci dire: “Non esserrre triste. Torrrnare presto in Be-la Ita-lia!”
Insomma, come accompagnatori saremo anche insopportabili, ma come insegnanti abbiamo del potenziale. Forse.
Photo: © H Matthew Howarth CC By SA 2.0
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