Germania, un milione di posti di lavoro vacanti, ma gli stranieri possono ancora essere discriminati

In Germania, le persone con un background da migrante trovano, ancora oggi, difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro.

Uno studio della Süddeutsche Zeitung  (SZ) rivela: i curriculum di persone con nomi stranieri hanno meno possibilità di ricevere risposte positive anche se le competenze sono identiche ai candidati tedeschi. La tematica non è nuova: già un anno fa un’analisi della Bundeszentrale für politische Bildung aveva mostrato come un terzo delle persone con background migratorio in Germania aveva fatto domanda per il sussidio di disoccupazione. Un numero altissimo se si pensa che si parla di un quinto dei tedeschi. Se nel 2014 lo Spiegel titolava “Nessuno vuole avere un Ali nel team” sottolineando le difficoltà di chi ha radici arabe ad essere assunto in team aziendali tedeschi, stavolta la SZ si sofferma più sulle donne e su una panoramica più generale del problema.

Lo studio

Partiamo da un presupposto: in Germania la disoccupazione è ai minimi storici (3,6%) e moltissime aziende cercano urgentemente lavoratori. Si stima che circa un milione di posti di lavoro siano attualmente vacanti a cui ne vanno aggiunti 43.500 per apprendistati.  Lo studio rivela che chi è migrante di seconda o terza generazione, anche se ha studiato fino alla laurea, ha più difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro di un tedesco. Considerando che si parla di 18,6 milioni di persone, cioè di più di un quinto della popolazione tedesca, è un fattore che merita attenzione. “Una vergogna per una nazione industrializzata che sostiene di essere campione mondiale di esportazione del potere economico globale” sottolinea il quotidiano bavarese. Non è finita qui. Le giovani donne con un cognome turco devono inviare molte più domande di quelle di una candidata tedesca per ottenere un colloquio di lavoro. A parità di qualifiche con una tedesca, se la candidata indossa il velo nella foto del curriculum la questione diventa le possibilità di un’assunzione diminuiscono ulteriormente.

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Discriminazione: un meccanismo che non porta vantaggi a nessuno

La Zeit approfondisce il discorso spiegando le contraddizioni dell’attuale situazione di discriminazione:  “Rappresenta uno svantaggio per l’economia tedesca. Gli imprenditori dovrebbero iniziare a capire quali e quante sono le opportunità della diversità in un team di lavoro, così come chi si occupa di risorse umane nelle aziende, dovrebbe ampliare il proprio sguardo e vedere le opportunità che i dipendenti con diversi background portano con sé”. Di regola, si tratta di persone bilingue, che si muovono con facilità in più aree culturali. “Possono rivelarsi investimenti per aziende che vogliono espandersi all’estero”. Si tratta di  investimenti in capitale umano, inteso non solo come forza lavoro, ma anche di accrescimento culturale.

La discriminazione è vietata da carte nazionali ed internazionali

Questo tipo di discriminazione, in Germania, è vietata dalla Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz (AGG) da oltre dieci anni. Ci sono anche numerose direttive europee indirizzate alla tutela del principio di non discriminazione in ambito lavorativo, nella sfera delle pari opportunità di genere, sesso, età ed etnia. Una delle più importanti è la Direttiva Europea 2000/43 , volta a dare misure preventive contro i casi di discriminazione sul lavoro e a fornire alle vittime la possibilità di presentare dei reclami attraverso procedure giudiziarie o amministrative. Tuttavia, molti imprenditori non conoscono abbastanza bene i regolamenti o, peggio, coscientemente li eludono.

Scuse che non reggono

Gli studi trattano di discriminazione anche per persone cresciute in Germania. Argomenti come le barriere linguistiche, la difficoltà di integrazione, i titoli di studio stranieri non riconosciuti in Germania – in questo caso non reggono. Tuttavia le ricerche riportate dal Süddeutsche Zeitung mostrano che molti tedeschi continuino a considerare la categoria degli stranieri in maniera univoca. Rifugiati politici, migranti, migranti di seconda generazione: tutti uguali e tutti portatori di problematiche.

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Stiamo meglio In Italia?

Il principio di non discriminazione è uno dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale. Si tratta dell’articolo 3 della Costituzione che al primo comma, dice testualmente che« tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Per quanto riguarda la sfera prettamente lavorativa, l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori, impone il divieto di discriminazione di ogni genere, sia esso per sesso, religione, etnia, età o handicap. Detto questo, chi di noi non si è mai imbattuto in un annuncio di lavoro di tipo discriminatorio? ” cercasi commessa di bella presenza” o ” cercasi babysitter italiana” ( e non ” di madrelingua italiana”) o ancora casi più gravi di annunci di lavoro da parte delle istituzioni, dove viene violato il principio di non discriminazione per l’età, come nel caso della Camera e del Senato – riportato su La Stampa– “trenta posti di assistente parlamentare, età non superiore ai 42 anni” o “dieci posti di consigliere parlamentare di prima fascia, età non superiore ai 35 anni”. Altro grave esempio di discriminazione in ambito lavorativo è quello che colpisce la comunità Lgbt. Lo dimostra un piccolo esperimento dell’Anglia Ruskin University- riportato sul settimanale di D-Repubblica, nel quale si sono selezionati 144 curriculum di giovani britannici con le stesse competenze e sono stati pubblicati su 15 siti di recruitment.  Metà dei ragazzi hanno scritto sul cv, apertamente, di appartenere alla comunità omosessuale. Il risultato è che questi ultimi hanno ricevuto il 5% in meno di richieste per un primo colloquio di lavoro. Le discriminazioni sul lavoro possono manifestarsi in tutte le fasi del rapporto di lavoro, dalla selezione del personale, all’ammontare dello stipendio, alla cause di licenziamento. Secondo una ricerca dell’IREF, nel 2014, in Italia, ci sono stati 252 casi di discriminazioni sul lavoro. Di questi il 53,6% sono stati per motivi etnico-razziale. Dati allarmanti per una società in cui il mercato è sempre più libero e il mercato del lavoro invece non sembra esserlo per niente.

Casi di discriminazione sul lavoro in Italia nel 2014. Fonte: Sodalitas.it 

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Immagine di copertina: © pmbbun CCO

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