Federazione illuminata e pianificazione: ecco perché la Germania ha vinto il Mondiale
Pianificazione. È questo il termine adatto per spiegare perché la Germania ha vinto il Mondiale. Un termine così caro e radicato nella cultura tedesca, come sconosciuto e inapplicato in quella italiana. Eppure chi vede il calcio (ma non solo) con un occhio lungimirante non dovrebbe essere rimasto tanto sorpreso dal trionfo degli uomini di Joachim Löw. Questa è una vittoria che arriva da lontano e che poggia le sue solide fondamenta su precise scelte politiche, sociali e culturali.
Dopo l’eliminazione nell’Europeo 2000 senza vincere neanche una partita la Federazione tedesca si accorse che lasciar passare l’accaduto come un semplice incidente di percorso poteva essere molto pericoloso. Sarebbe stato facile, perché solo quattro anni prima la Germania aveva vinto gli Europei del 1996 in Inghilterra e appena due anni dopo arriverà in finale nel mondiale 2002 in Corea, perdendo contro il Brasile di Ronaldo. Ma obiettivo di una Federazione e, in generale, di chi amministra e organizza un qualsiasi tipo di comunità, è avere occhio lungo e uno sguardo sempre proiettato verso il futuro. Quella nazionale, nonostante avesse dato qualche buon risultato, era agli sgoccioli e alle sue spalle non sembravano esserci ottime prospettive. Fu allora che la DFL, la lega di calcio tedesca, gettò le basi di un progetto di reclutamento di giovani calciatori e pianificò una serie di modifiche alla base della gestione delle società. Introdusse difatti l’obbligo per ogni club di Bundesliga e Bundesliga 2 di avere una squadra in ogni categoria giovanile a partire dagli under 12 (pena la revoca della licenza), nonché l’obbligo per ogni squadra dall’under 16 in su di avere in formazione almeno 12 giocatori candidabili ad una convocazione da parte della rispettiva nazionale di categoria.
Con delle scelte di questo tipo i club furono necessariamente indirizzati a puntare sui giovani e a spendere gran parte delle loro risorse in strutture adeguate alla loro formazione. Oltre a ciò, un’altra serie di decisioni che riguardarono l’intero apparato amministrativo e sportivo dei club, hanno portato oggi il campionato tedesco ad essere uno dei più solidi, ricchi e interessanti d’Europa.
Dal 2001 in poi il calcio in Germania è cambiato radicalmente e non ha avuto vergogna o paura di sperimentare e seguire i cambiamenti sociali. Altra importante decisione, infatti, è stata quella di seguire il processo di multiculturalità che l’intera società teutonica stava conoscendo, facilitando la naturalizzazione dei “nuovi tedeschi” (ragazzi con genitori di altri paesi ma che vivono da tempo in Germania o che ci sono nati) ed integrandoli nel miglior modo possibile nello sport così come negli altri settori. Da lì vengono alcuni dei campioni del mondo di oggi: Klose, Podolsky, Khedira, Jerome Boateng, Özil.
Ma è soprattutto grazie all’applicazione del precedente discorso sul reclutamento e sulla formazione dei giovani che oggi la Germania può godere di una delle formazioni più forti che abbia mai avuto, che in pochi anni è arrivata più volte vicinissima ad un titolo mondiale ed europeo, che nel 2009 ha visto trionfare nello stesso anno under 17, under 19 e under 21 (di cui allora facevano parte Neuer, Höwedes, J. Boateng, Hummels, Khedira, Özil) e che finalmente nel 2014 ha coronato con un successo meritato lo sforzo e la lungimiranza delle sue scelte, facendo scendere in campo per la finale di un Mondiale undici giocatori la cui età media era di 26 anni.
Germania docet. E gli altri che fanno?
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