Ecco perché viaggiare sulla metro di Berlino con uno che fumava eroina è stato surreale

Berlino, venerdì sera. Le undici passate. Nonostante sia presto sto tornando a casa, dopo una cena tra amici. Cambio metro a Zoologischer Garten, e prendo la U9 in direzione Osloer Straße. Carrozza piuttosto piena. Mi siedo in un angolo, stanco della settimana, e aspetto che arrivi la mia fermata. Sul sedile accanto al mio non c’è nessuno, di fronte una signora di mezza età con un ragazzino sui 12-13 anni. Alla mia destra, dal lato opposto del corridoio, quattro uomini che chiacchierano tra loro. Probabilmente sono abbastanza giovani, ma hanno i volti segnati dalla fatica. Parlano tedesco con un forte accento est-europeo. Hanno delle tute da lavoro, i pantaloni sporchi di calce e gli scarponi anti-infortunio. Biascicano un po’, si saranno fatti qualche birra.

Mi volto verso il finestrino, perso nei miei pensieri. Resto così per qualche minuto, fino a quando sento un odore acre nell’aria e un rumore di carta stagnola stropicciata. Mi giro di nuovo, e vedo uno dei quattro intento a scaldare la stagnola con un accendino e ad aspirare il fumo che si sprigiona. Fuma solo lui, non la passa agli altri. Non realizzo subito, ma la prima reazione istintiva è di impormi di non fissarlo: non sono affari miei. Vago un po’ con lo sguardo nella carrozza, qualcuno non si è accorto di nulla, qualcun altro fissa la scena un po’ interdetto. A Birkenstraße sale una ragazza. Vestiti un po’ sfatti, capelli viola e volto mangiato. Il tizio della stagnola la fissa e le biascica un: «Mi chiudi il finestrino? Il vento mi crea problemi. Dopo ti faccio fumare». Lei esegue, poi declina gentilmente l’offerta. Ancora un paio di fermate, e i quattro uomini scendono. Il tizio della stagnola barcolla vistosamente e centra a stento l’uscita.

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Premetto subito due cose: anche se non ho mai fatto uso di sostanze in vita mia, non sono affatto un parruccone. Sono totalmente a favore della legalizzazione delle droghe leggere e penso che la libertà di autodeterminarsi sia sacrosanta, anche quando può condurre all’autodistruzione. E, seconda premessa, la mia esperienza sull’universo droga è tutta indiretta, dunque non così approfondita da permettermi di determinare con certezza cosa stesse fumando il tizio della stagnola sull’U9 di ieri sera. Le modalità di assunzione, il colore, la straniante lentezza dei movimenti dell’uomo mi fanno ipotizzare che fosse eroina. Ma anche se si fosse trattato di crack, cristalli o oppio, non cambierebbe la sensazione surreale suscitata da tutta la faccenda.

Ok, siamo a Berlino, per le strade circola più droga che currywurst. E per molti il fascino della città consiste anche nella sua libertà assoluta e nella sua sincerità spietata; nel suo mostrare l‘esistenza nuda, in tutte le sue forme, anche quelle più disturbanti e meno rasserenanti. Le sue puzze di piscio, i suoi denti marci, le sue facce butterate e sole. E in fondo, mi dico, il tizio della stagnola non ha molestato o fatto del male a nessuno. Eppure, l’impressione di surrealtà resta, non foss’altro per quell’assurdo scambio di battute con la ragazza, quasi che un gentleman con un po’ di mal di gola avesse chiesto la cortesia di eliminare la fonte del fastidioso spiffero. Quasi a conferire a tutta la scena una normalità che non le appartiene, perchè l’urgenza di farsi in metro davanti a famiglie e ragazzini mi sembra nasconda, comunque la si voglia rigirare, abissi di bisogno, di dolore, di alienazione tanto materiale quanto spirituale. E ti fa pensare che, ai margini dello scintillio di facciata, la vita in una metropoli del XXI secolo, specie se piuttosto povera e ruvida come Berlino, scopra sempre un ghigno truce di disumanità.

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Foto di copertina © sce-bildung.de