Der Letzte Mentsch, arriva a Berlino il road movie su uno degli ultimi sopravvisuti di Auschwitz
Ricordare per non dimenticare, dimenticare per sopravvivere all’orrore. Quando ho visto Der Letzte Mentsch ho sofferto per la paura di poter dimenticare e per il dolore che la memoria si porta dietro. La storia di Marcus (nel volto decoroso e affaticato di Mario Adorf) è quella di un uomo, un ebreo ungherese, sopravvissuto a Theresienstadt e ad Auschwitz che per superare l’orrore dell’olocausto ha voluto concedere all’oblio le sue origini. Adesso, a distanza di anni dalla tragedia, il passato doloroso si fa presente e impone a Marcus di ricordare quanto quel numero tatuato sul braccio significhi. Adesso, al ricordo dei suoi cari sepolti anni fa da una pulizia etnica disumana, Marcus vuole essere seppellito accanto a loro, da ebreo.
Ma dopo aver rinnegato le sue radici per salvarsi dal peso del passato, Marcus deve dimostrare di essere ebreo. E come cinicamente dice il rabbino, un tatuaggio non basta, perché molti carnefici, per avere salva la pelle, hanno tatuato all’epoca il numero delle loro vittime sul braccio. Solo i suoi documenti originari o un testimone che confermi di riconoscerlo possono garantirgli la restituzione dell’identità negata. Il nostro parte così verso i luoghi del suo passato accompagnato da una ragazza turco-tedesca, Gül (Katharina Derr), anche lei inconsapevolmente alla ricerca di sé.
Der Letzte Mentsch di Pierre-Henry Salfati è un road movie calibrato su lacrime e sorrisi che si guarda bene dal cadere nella trappola/gioco facile del pietismo e insiste, invece, sul ruolo chiave della memoria-memento contro la recidività. Nel viaggio attraverso l’Europa, passando per una Budapest lussuosa e spettrale, fino ai luoghi dell’infanzia nella cittadina di Vàc, il vecchio Marcus e la giovane e irrequieta Gül impareranno a guardarsi dentro con nuovi occhi grazie agli incontri felici e inaspettati e a quelli più mesti. E tra gli incontri rivelatori non manca quello al cimitero con la guida/compagna emotiva di questa discesa negli anfratti più bui e nascosti del cuore di Marcus. Ethel, la donna cieca (Hannelore Elsner) che sembra riconoscerlo, è un porto di salvezza per l’affaticato anziano. Abituata da tempo ad addentrarsi nel mondo – interiore e di superficie – a occhi chiusi, è il sostegno di cui Marcus aveva bisogno per abbandonarsi a un fiume di ricordi devastanti.
Der letzte Mentsch ci obbliga a riflettere sulla memoria come pratica collettiva di unione, condivisione, lotta affinché le stesse dinamiche non debbano tornare a farsi memoria una seconda volta. Accanto alla memoria come patrimonio da tutelare e tramandare ai posteri -come una volta si faceva con i miti trasmessi verbalmente – Pierre-Henry Salfati solleva un’altra inquietudine sulla memoria umana. Sebbene vogliamo credere nell’incapacità dell’umanità di lasciare alla noncuranza, al negazionismo o alla superficialità le tragedie passate, bisogna tuttavia fare i conti con la variabile umana e la sua insostituibilità nel ricordare e rievocare. La memoria sarà ancora così vivida quando l’ultima vittima dell’olocausto esalerà il suo ultimo respiro? Il solo pensiero che nel tempo si cominci gradualmente a perdere traccia della storia fa accapponare la pelle.
Al cinema in Germania dall’8 Maggio.
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