Il colpevole del caro-affitti? Berlino vieta Airbnb
“Berlino riduce l‘operatività di Airbnb”, si leggeva lo scorso 9 maggio sull‘edizione online del quotidiano Berliner Morgenpost.
Airbnb, fondata nel 2008 da tre studenti universitari nella Silicon Valley in California, oggi valutata con 10 miliardi come una delle start-up più ricche del mondo, è una delle comunity più conosciute per l’affitto di camere o case private. Solo in Germania offre circa 24.000 alloggi, di cui quasi la metà a Berlino, in cui sono circa 11.000 gli appartamenti disponibili. I prezzi sono allettanti: un monolocale in Mitte per 42 Euro a notte, una stanza in una WG nella modaiola zona Bergmannstraße a Kreuzberg per 19 Euro o un appartamento stile Gründerzeit a Moabit, con quattro stanze letto, per 140 Euro.
I padroni di casa sono privati che, con un subaffitto temporaneo, riescono spesso a crearsi un vero e proprio stipendio mensile, anche se non del tutto trasparente dal punto di vista fiscale, nonostante in Germania evadere le tasse venga giudicato al pari di un infanticidio.
Le procedure per offrire e trovare casa sul sito Airbnb sono veloci, informali e basate su un concetto che prende a modello social network come Facebook o Twitter. La percentuale che Airbnb chiede come mediazione (circa il 3% a chi offre casa e il 6% a chi affitta) è più conveniente rispetto ad altri siti di case vacanze come 9Flats, Atraveo o Holidaylettings per Tripadvisor.
Qual è quindi il problema? Se dopo la caduta del muro Berlino era la città degli spazi abbandonati, case lasciate di corsa da ex cittadini dell’est finalmente liberi di andarsi a sistemare nel più ricco e confortevole ovest, negli ultimi anni dieci anni il trend si è invertito. Non solo tedeschi provenienti da altre zone della nazione, ma anche tanti stranieri, hanno fatto della capitale tedesca la città del momento. Urgono sistemazioni e i prezzi salgono vorticosamente (dell‘8% solo lo scorso anno), con una media che ha ormai i 7,50 euro al metro quadro e che avvicina Berlino ad altre metropoli tedesche come Amburgo (11,40 euro), mentre resta fortunamente ancora lontana dal picco di Monaco di Baviera (13,35 euro).
Per ovviare al caro-affitti alcuni distretti di Berlino hanno emesso il così detto Zweckentfremdungsverbot, entrato in vigore a Mitte, Pankow, Charlottenburg e Neukölln lo scorso 1 maggio. In pratica ogni potenziale locatario dovrà comunicare entro i prossimi tre mesi al relativo Bezirksamt la destinazione commerciale dell’immobile e avrà tempo fino al 2016 per cambiare la destinazione d’uso, pena una multa che può arrivare sino a 50.000 euro.
Nel frattempo il clima nei condomini, soprattutto nei palazzi dove spesso si trovano più case vacanze che appartamenti ad uso familiare, si surriscalda. In molti cominciano a stancarsi del via vai di turisti, del rumore che i loro trolley provocano di giorno e di notte sulle scale, della musica a tutto il volume durante i party improvvisati: senza contare che a questo si aggiunge il fastidio per l’anonimato di continue facce sconosciute che si sostituiscono al buon vecchio vicinato di una volta. Dice Claudia, inquilina da più di cinque anni in un palazzo in Greifshagener Straße, a Prenzlauerberg: “Se mi manca il sale o lo zucchero non so più a chi chiedere” e Helga di Bregenzer Straße a Charlottenburg: ”Nel mio condominio la gente che va e viene mi guarda spesso come un animale dello Zoo, per loro rappresento la vera berlinese autoctona, una rarità.”
Non sorprende a questo punto che, dall’entrata in vigore del divieto, siano già arrivate ai vari Bezirksämter, da parte di condomini esasperati, più di 500 segnalazioni di case vacanza abusive. Sul giornale Tagesspiegel, nell‘edizione del 10 maggio, si discute a proposito del Blockwartmentalität, un atteggiamento caro a molti tedeschi e riconducibile alla funzione del Blockwart nel Terzo Reich: il Blockwart aveva il compito di controllare gli abitanti di un palazzo circa la loro lealtà nazista.
Ad essere sinceri però, ad oggi non si registrano controlli appositamente organizzati dai Bezirksämter, che vantano una tradizionale carenza di impiegati per la verifica sul campo delle direttive fornite, per questo la polemica sembra destinata a risolversi in una bolla d´aria, almeno per il momento.
Di questo avviso è anche Arne Bleckwen, amministratore delegato di Wimdu, un altro sito di case vacanza: “Cercano un capro espiatorio per il problema del caro affitti.” Nelll‘economia della questione non bisogna infine dimenticare la potente lobby degli hotel, che si sente minacciata dal mercato parallelo con la sua crescente offerta di case private. Il presunto danno economico arrecato dalla locazione privata è negato categoricamente dal portavoce di Airbnb Germania, Julian Trautwein, che afferma: “Un nostro studio interno dimostra che il 77% dei nostri clienti in ogni caso non utilizzerebbe le strutture alberghiere tradizionali.” Non solo, per Trautwein Airbnb non farebbe altro che far crescere l’indotto di una città come Berlino: “Secondo un nostro studio interno, l’ospite Airbnb rimane in media 6,3 giorni a Berlino e spende 845 Euro durante il suo soggiorno.”
Tornando alla nuova normativa berlinese, ogni caso dovrà comunque essere analizzato in maniera indipendente. Succede spesso che su Airbnb non si affittino interi appartamenti, ma camere all’interno di case abitate. Dimostrare, in casi come questo, che la destinazione della casa è commerciale, sarebbe praticamente impossibile, o quasi. Come a New York, dove Airbnb potrà continuare ad esistere solo nel caso in cui proprietario ed inquilino condividano lo stesso tetto. Se nella Grande Mela la limitazione si esaurisce per i contratti superiori ai 30 giorni, a patto di sottoscrivere un normale contratto d’affitto, a Berlino il limite è invece fissato a due mesi.
Leggi anche l’articolo pubblicato su Wired