Borgman. Il male bussa sempre due volte

Un cane abbaia inferocito mentre il padrone sta pulendo e caricando il proprio fucile; nel frattempo ad un tornio un uomo è impegnato ad affilare metodicamente la punta di un giavellotto in ferro ed ecco infine un prete che, dopo aver benedetto un’ostia durante una funzione religiosa, inforca un fucile e si unisce ai primi due per affrontare quella che sembra essere più di una normale caccia nei boschi. I tre sono seri, non parlano, si muovono con gran fretta e risoluzione e hanno uno scopo ben preciso: a morire deve essere un uomo. A morire deve essere Borgman.

Così si apre “Borgman”, l’ultimo film del regista olandese Alex van Wermerdan ed il mistero che avvolge questo insolito inizio aleggia inflessibile durante tutta la pellicola. Innanzi tutto chi è Borgman e perchè a dargli la caccia c’è anche un prete? Come mai è costretto a vivere sotto terra e nascosto dalla civiltà?Come ha fatto a sentire l’avvicinarsi dei suoi aguzzini e a scappare cosí silenziosamente?

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Su tali questioni il film non indugia un solo attimo, ma il corso degli eventi trascina lo spettatore nel centro della storia. Borgman (Jan Bijvoet)  deve fuggire e non ha un minuto da perdere: dopo aver avvertito i due suoi compagni che vivono come lui sotto terra nel bosco, si separa da loro e si incammina fino a ritrovarsi poi nel viale alberato di una ricca zona residenziale. Bussa alla porta di una famiglia chiedendo di potersi fare una doccia e affidandosi alla benevolenza del prossimo. Nessun piano potrebbe essere migliore dal momento che subito riesce ad ottenere la piena fiducia di Marina (Hadewych Minis) e dei bambini e poi anche del marito (Jeroen Perceval) che, nonostante lo scetticismo iniziale, lo invita a vivere in casa con loro come giardiniere.

L’interpretazione del film è molto aperta e tutt’altro che univoca: Van Wermerdan ammette di aver creato propositamente un film che scatena più domande di quante risposte ci possano essere o per lo meno di quante risposte “sensate” la nostra mente possa lecitamente supporre.

Sicuramente quello che più affascina e allo stesso tempo spaventa è il fatto che Borgman sia dalla parte del male, ma che con la sua gentilezza e riservatezza, con il suo aspetto innocuo e i suoi modi educati, riesca senza sforzi a farsi accettare e addirittura voler bene da coloro che lo circondano. Ed inevitabilmente anche lo spettatore si ritrova a parteggiare per lui.

La pellicola ci mostra che non per forza il male si manifesta nel suo aspetto più ripugnate, ma può rimanere nascosto fino a quando non sferzi il suo colpo definitivo e fatale. Siamo di fronte ad un film noir che brilla di una luce splendente e talmente ammaliante da accecare e da disorientare. Le immagini che la telecamera cattura sono talvolta pezzi d’arte, studiati in ogni minimo dettaglio e in grado di evocare forme di bellezza pura.Borgman1

Dopo 38 anni un film olandese è tornato in concorso a Cannes e nonostante non abbia riportato a casa nessun premio, sicuramente ha fatto parlare di sé. Il regista sessantaduenne Van Warmerdams é forse riuscito con questo suo ultimo film a rivelarsi al pubblico estero, nonostante che al suo attivo ci siano produzioni altrettanto affascinan come “Abel” (1986), “Ober” (2006) e “Gli ultimi giorni di Emma Blank” (2009). Non siamo di fronte ad un giovane talento da scoprire, ma ad un regista esperto da godere.