«Io, che a Berlino vivo con le mie tre figlie italo-spagnole, mi sento offeso per le parole del Ministro Poletti»

di Stefano Carpani*

Mi è veramente difficile provare a scrivere un articolo a meno di due giorni dall’attentato di Berlino. Ci sono troppe emozioni in ballo. Quelle relative al fatto che mia figlia Bianca va a scuola li vicino e che passa ogni giorno per quella strada. Quella che ci saremmo potuti essere anche noi, mia moglie e le nostre tre figlie, in quel mercatino, come nostra consuetudine prima di Natale. E poi ci sono le immagini che arrivano da Aleppo. Le immagini di ciò che rimane di quei bambini sventrati dai proiettili russi e di Assad. Come mettere insieme queste emozioni? Come spiegare ad una figlia di sette anni che cos´è la guerra? Che noi genitori faremo di tutto per proteggerle. E che gli uomini non impareranno mai ad amarsi. Che gli uomini non rinunceranno mai al desiderio di autodistruggersi. Ai loro interessi. Al loro egoismo. E poi ci sono le esternazioni di persone come il Ministro Poletti. La sua vanità. La sua arroganza. Il suo pressapochismo.

Forse ha ragione la cancelleria Merkel quando dice che proprio non si sarebbe aspettata un attacco a Berlino. Quando dice che un attacco a Berlino è una sorpresa. Eppure come si può essere così ingenui? Ogni città, nessuna esclusa, è vulnerabile. Ogni individuo, nessuno escluso, è vulnerabile. Nel bene e nel male. Eppure come scrive Maurizio Cucchi, il male non è nelle cose. Noi siamo il male. Noi diventiamo il male. Ma siccome la Merkel non è ingenua, ho provato a chiedermi come mai avesse fatto tale affermazione. E non trovo altra risposta che quella che Berlino è un simbolo, una città che fa della libertà e dell’uguaglianza (de facto, non de jure come in Francia) e della convivenza, i pilastri della sua identità. E per questo che Berlino é la capitale europea e del mondo libero. E poi la Merkel ha detto un´altra cosa che provo a parafrasare e reinterpretare: “Non facciamoci accecare da quanto successo lunedì sera. Non facciamo che tutte quelle esperienze di integrazione nate dal settembre 2015 per mano sia degli autoctoni che dei nuovi tedeschi arrivati dalla Siria come da qualsiasi altra parte del mondo, lascino spazio alla distruzione e alla morte”. Pensiamo al lutto. È  l’unica possibilità. Ed è per questo, che sono abominevoli le parole di Farage, l'(ex) leader della destra britannica che definisce i morti di Berlino “l´eredita della Merkel“.

Io e mia mogie non abbiamo scelto Berlino per vanità. Ci siamo trovati nella situazione di decidere se lasciare casa e trasferirci in Germania perché io ero disoccupato e a lei offrirono una possibilità di crescita professionale interessante e meritocratica. Perché le è stato offerto un contratto a tempo indeterminato nonostante fosse incinta. In passato, e altrove, i suoi capi spagnoli le avevano detto che non sarebbe mai stata promossa, perché aveva dato priorità alla famiglia. A dirla tutta non siamo qui solo per ragioni lavorative. Erano anni che fantasticavamo in relazione ad un possibile trasferimento a Berlino, unica capitale del vecchio continente dove i figli di due europei possono crescere ed essere educati senza ipocrisie alla multiculturalità, al rispetto, al sacrificio e alla lealtà. Perché le nostre figli parlano quattro lingue. Perché qui vale il merito. E se hai la forza per portava avanti una tua idea, sei il benvenuto. Eppure fa freddo. l’inverno e lungo e buio e i pomodori non sono buoni come quelli di casa. E questo ci porta a Poletti. O meglio al Ministro Poletti.

E le chiedo, Signor ministro: quante lingue parla lei? Dove ha studiato? E i suoi figli? Li ha fatti viaggiare? Li ha fatti studiare? Ha permesso loro di diventare chi veramente vorrebbero essere? Perché non è vero che chi resta, quei 60 milioni, è un pistola. Ma si è chiesto, veramente, perché molti partono? Ha instaurato conversazioni autentiche con chi parte e con chi resta?

Ma cosa hanno in comune queste le frasi del Ministro Poletti e l’attacco terroristico di Berlino? Niente. Assolutamente niente. Eppure negli scorsi giorni, sui social network, si è fatto spesso il nome di Fabrizia Di Lorenzo, in connessione con quanto detto dal Ministro. Non conosco Fabrizia, e con il rispetto che ci vuole in queste occasioni, mi tolgo il cappello e prego, non posso fare altro. Prego perché, dalla storia che leggo online, intuisco che Fabrizia venne a Berlino per vivere la sua vita. E che purtroppo sì è trovata nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Fato? Destino? Volontà divina? Non sta a me cercare di spiegare quanto successo. Eppure perché tanti connazionali stanno usando l´esperienza di Fabrizia in correlazione con l’insulto del Ministro Poletti? Perché di insulto si tratta!

Signor Ministro, di pirla ce ne sono tanti in tutte le nazioni. In Italia, in Germania, in Francia, in Spagna e in Inghilterra. Tutte queste nazioni hanno la stessa quantità di pistola. Ma anche di talenti. La differenza sta nel modo in cui un paese (o un governo) si rapporta ai pistola e ai talenti. Perché sarebbe rischioso trattarli tutti alla stessa maniera. I danni dei pistola vanno limitati e i talenti vanno valorizzati. I talenti vanno aiutati ad esprimersi, a trasformare il loro talento, non a reprimerlo. Lei cosa fa per fare questo? Mi sa che lei è uno che, senza sapere ne leggere ne scrivere, mette in castigo sia colpevoli che innocenti, tanto per non fare distinzione. Eppure le distinzioni devono essere fatte. Eccome! Bisogna valorizzare meritocraticamente e – altrettanto meritocraticamente – far osservare a chi talento non ne ha quale può essere la sua strada, come può raggiungere ugualmente i suoi sogni senza cercare nell’ambizione del successo isterico e senza merito una realizzazione spuria.

Io credo fermamente nel potere delle parole, Signor Ministro. Quelle gridate e quelle dette sottovoce. Credo che il silenzio faccia molto più rumore di tante parole a vanvera. Di tante parole che, troppo spesso, faremmo meglio a tenere per noi. Poletti, si rende conto che l’Italia è un paese di talenti? Poletti, si rende conto che non è facendo paternali ai figli (biologici o putativi) che si permetterà loro di diventare se stessi? Di trovare la loro strada! Poletti, si rende conto che Cristoforo Colombo dovette raggiungere la corte di Isabella di Castilla per compiere il suo destino? Poletti, sa che Colombo, mentre aspettava una risposta dalla regina di Castilla, si dedicò a vendere mappe e libri per mantenersi?

Spesso succede che il talento venga represso (quello vero, perché ci sono troppe persone che si credono di talento ma non ne hanno nemmeno un´ombra). Spesso succede che il talento – che dovrebbe essere coltivato e innaffiato, protetto e valorizzato – invece venga ostacolato. Perché è molto più facile restare a casa, con mamma che ti fa la lasagna e stira le camicie. Sul divano a vedere Maria de Filippi. Poletti, sa quanta paura stringe il cuore di chi decide di partire?

Eppure noi siamo un paese di sprinter. Un paese che si è dimenticato della sua operosità orgogliosa e discreta e dei suoi fasti passati. Eppure noi italiani non abbiamo mai avuto paura e così ci siamo spinti oltre le Alpi. A malincuore, certo, ma con la speranza di un futuro migliore. Forse, un futuro di felicità.

Ecco cosa unisce l´attacco terroristico di lunedì scorso a Berlino alle frasi di Poletti e alla storia di Fabrizia. È solo mettendo in relazione queste tre cose che potremo intraprendere una conversazione che ci farà diventare adulti e rispettare l´altro (chiunque questo o questa sia). L´altro come una fonte di ricchezza e non come un nemico del quale avere paura. Non lasciamo che gli inetti prendano in mano la situazione. Non lasciamo che interrompano il nostro cammino.

*Stefano Carpani è psicoanalista-in-training presso il prestigioso Carl Gustav Jung Institute di Zurigo. Dal 2013 vive con la sua famiglia, una moglie e tre figlie, a Berlino.

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Photo: Camera dei deputati© CC BY SA 2.0