Io, mio nonno e il mio 25 aprile da italiano in Germania

Il 25 aprile visto da un italiano a Berlino

Mio nonno era altissimo, occhi verdi, carnagione chiara, molto diverso da me, moro che più moro non si può.  Si chiamava Manfredo Nargi. Era un uomo molto bello, uno di quelli che “quando entrava in una stanza potevi sentirgli gli occhi addosso di tutti i presenti” mi viene detto continuamente da chiunque l’abbia conosciuto quando era più giovane. Nel corso della sua vita aveva svolto vari lavori, alcuni segreti, altri meno, ma quello ufficiale, quello che a me fu sempre detto è che era un maresciallo dei carabinieri. Era stato internato a Brema nel ’43 e ne uscì dopo poco più di un anno con un cancro al pancreas che lo tormentò per tutta la vita.

Quando cominciai ad andare alle scuole medie e non c’era più quel tempo pieno che, alle elementari, dava ai miei genitori la tranquillità necessaria per rimanere anche il pomeriggio in ufficio, decidemmo un giorno fisso, il giovedì, per i miei pranzi con il nonno. Non che non lo vedessi durante la settimana, non eravamo lontanissimi di casa e l’amore che mio nonno voleva a mia madre, sua figlia, nonché a mio padre, suo figlio acquisito che continuerà ad amare anche quando i miei, pochi anni dopo, si separarono portandosi dietro tante lacrime e recriminazioni, faceva sì che fossimo nonostante tutto una famiglia unita. Quei pranzi del giovedì da mio nonno iniziavano sempre, o quasi, con lo stesso menù. Pasta al ragù, spezzatino (che a volte era con lo stesso sugo utilizzato per il ragù) e poi, per finire, zabaione con il mascarpone.

Mangiavamo di fretta, se possibile mio nonno era più veloce di me. Anni dopo, parlando con altri amici e condividendo i rispettivi ricordi dei nostri nonni, quello del mangiare veloce è stata una storia sentita da altre voci. Succedeva così in guerra quando si aveva paura che il pasto potesse essere rubato da un momento all’altro, succedeva così in tempi di povertà quando la fame era tale che non si pensava ad altro che al mangiare. Mio nonno mangiava veloce per abitudine, io perché avevo fretta, fretta di scendere sotto casa, sui prati del Villaggio olimpico, e giocare a pallone con i miei amici, fretta di lasciare la tavola ed andare a vedere la televisione (nella mia mente si accalcano frammenti di ricordi di giro d’Italia e internazionali di tennis di Roma, come se da mio nonno ci andassi sempre e solo a maggio) , fretta di portare mio nonno al cinema, lui era il mio accompagnatore per eccellenza e anche se non ci sentiva bene da un orecchio e per lui si poteva entrare al cinema quando si arrivava al cinema, e non quando il film iniziava davvero, beh, faceva lo sforzo di aspettare quando ci andavamo assieme (l’ultimo film che vedemmo assieme fu Indiana Jones e l’ultima crociata all’Etoile di Piazza San Lorenzo in Lucina). Andavo di corsa, ieri, come oggi. Ma mio nonno voleva parlare e mi raccontava la storia della sua guerra, del suo internamento, degli espedienti che trovò per racimolare un po’ di zucchero e di quando uccise un gatto assieme agli altri prigionieri perché sennò sarebbero morti di fame. Non ricordo se mi parlò mai del suo 25 aprile, forse sì, forse fu quello il giorno in cui fu liberato o forse no, accadde dopo o era già accaduto. Mi parlava con tono sicuro e paterno ed io ascoltavo, ma non con l’attenzione necessaria. Gli volevo un mondo di bene, ma pensavo che sarebbe stato sempre lì e che quelle storie già per il solo fatto di averle ascoltate sarebbero rimaste sempre con me. Ed invece ora che sono grande, ora che vorrei averlo qui accanto e fare di ogni sua storia, di ogni sua esperienza, di ogni suo sguardo sul mondo un mio sguardo sul mondo, ecco che non ricordo nulla se non la sua voce, le sue forti pacche sulla mia spalla destra e la sensazione che se anche non ha potuto vedere dove sia arrivato finora, in qualche modo, ovunque lui sia sia fiero di me, italiano che in Germania ci è venuto spontaneamente, ora che riascolto al telefono, dalla voce di mio padre, pezzi di storia della mia famiglia che cercherò di non lasciare andare più via.

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