Third Space: la mostra a Berlino delle identità in transito

Fino al 12 luglio 2025 lo spazio HAUNT ospita Third Space, una mostra collettiva sulle identità migranti nella capitale tedesca

Berlino non ha il mare, ma è sempre stata un porto. Un luogo di passaggio e di approdo, attraversato da un flusso continuo di persone, culture e storie. Per questo, è importante che a Berlino si continui a riflettere sulla diversità anche attraverso spazi sociali e culturali. La mostra Third Space presso lo spazio HAUNT riflette precisamente sulla lente della migrazione. La mostra è visitabile dal mercoledì al sabato dalle 14 alle 16, oppure sotto appuntamento privato. L’ingresso è gratuito – ma si può fare un offerta consumando al bar.

Le identità in transito

La mostra temporanea Third Space, inaugurata il 23 maggio, sarà aperta fino al 12 luglio 2025 presso lo spazio HAUNT!. L’installazione presenta la natura fluida e in continua evoluzione dell’identità di Berlino attraverso la lente della migrazione. L’esposizione infatti riunisce artisti berlinesi, tutti migranti o figli di generazioni migranti, le cui opere esaminano la complessità dell’esistenza tra culture, navigando in mutevoli scenari di appartenenza e confrontandosi con il tema dell’identità in transito.

Un terzo spazio

La mostra è plasmata dal concetto sociologico di Third Space coniato da Homi K. Bhabha: un luogo simbolico e discorsivo in cui identità culturali differenti si incontrano, si negoziano e si trasformano. È uno spazio interstiziale, un “tra” che sfugge alle rigide dicotomie (noi/loro, cittadino/straniero), in cui le identità non si presentano come essenze fisse, ma vengono costruite in relazione e in movimento. Sono molte, infatti, le opere d’arte performative, e anche quelle più statiche giocano tutta la loro forza sulla narrazione.

I am an immigrant

Fra gli emigrati in Germania ci sono anche italiani. Come Matteo Lorusso, uno degli artisti, che per l’occasione ha esposto la sua opera dal titolo I AM AN IMMIGRANT, una serie di ritratti in bianco e nero a cui si accompagna un piccolo testo. Immigrato lui stesso, Lorusso non vuole definire l’esperienza migratoria, ma tenerla viva e dialogante nella sua rappresentazione. Ogni ritratto nasce da un racconto, e la storia di ciascun volto è riportata accanto. Non solo: i testi sono frammentari, presentano dei tagli, così che lo spettatore sia invitato a completarne il senso.

Intrecci e narrazioni

Le opere in mostra si distinguono per linguaggi e materiali, pur seguendo una medesima linea narrativa. Oltre a quella di Matteo Lorusso, si segnala – Kai di Runa Ikeda, un’installazione che impiega la paglia come simbolo dei cicli vitali, accompagnata da una serie di disegni onirici, nello stile di Chagall, legati a una performance sulla memoria culturale e ancestrale. In Point of Coincidence, Bahaa Talis & Timo Herbst documentano l’incontro tra preghiera e disegno: un video in cui gesti, posture e segni creano un dialogo corporeo e condiviso. Cargo 200 di Sofiia Yesakova, infine, riflette sul trasporto dei caduti nella guerra in Ucraina: l’artista trasforma il lutto in forme visive essenziali, linee e tracce oggettivanti, come oggettivante è la guerra stessa. Il quadrato nero segna il sepolcro: memoria e trauma si condensano in un linguaggio asciutto e spietatamente razionale.

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