Torni in Italia? Ora solo se sei docente o ricercatore hai diritto alla detassazione. Ed è più bassa
In Italia arriva la stretta sulla de-tassazione sul rientro dei lavoratori qualificati. Scende al 50%, però solo per docenti e ricercatori
Lunedì 16 ottobre il Consiglio dei Ministri italiano ha varato la manovra economica alla quale è collegato il “decreto Anticipi”. Questo punta ad applicare una stretta, sia sui requisiti necessari per accedere al regime di tassazione agevolato temporaneo, riconosciuto ai lavoratori italiani che tornano in Italia.
La detassazione, infatti, sarà del 50%, entro il limite totale di reddito di 600 mila euro. Il regime sarà di portata nettamente inferiore rispetto al precedente. 50% contro il precedente 70-90%, nella durata di 5 anni anziché 10. Questa agevolazione è, però, riservata solo a docenti e ricercatori che trasferiranno la residenza fiscale in Italia dal 2024. Non è più incentivato, inoltre, nemmeno il rientro nelle regioni del Sud Italia. L’intento, quindi, sembra quello di stringere sul rientro dei cervelli, battendo sui criteri e rendendo meno appetibile per qualsiasi azienda l’assunzione di un lavoratore qualificato che non rientri nella categoria sopracitata.
Dal 2019 a oggi, un cambio di rotta inatteso
Il Decreto Crescita del 2019 aveva confermato ed esteso le agevolazioni fiscali sul rientro dei cervelli, stabilite con il provvedimento del 29 marzo 2016. I limiti, previsti dalla norma, infatti, erano stati ridotti, allungato il periodo di fruizione del beneficio fiscale e la base imponibile era stata ridotta al 10%.
La manovra, ritenuta inizialmente inefficace, stava iniziando a mostrare dei segnali positivi. Dai dati dell’ ISTAT si evince che dal 2012 al 2021 gli italiani emigrati all’estero superano il milione. È evidente, però, nel 2022, che gli italiani emigrati, rispetto ai 120mila del 2021, sono meno, il 22% (94.219). Secondo un recente rapporto della fondazione Migrantes, che cita i dati dell’AIRE, le persone italiane residenti all’estero sono 5,8 milioni. Seguendo i dati, la quota di giovani italiani all’estero molto formati è alta. Il rapporto ISTAT indica, infatti, che tra i 25 e i 34 anni, 14 mila sui 31 mila totali, hanno una laurea o un titolo superiore. Le misure pensate fino ad oggi tenevano conto proprio di questo.
La delusione latente di chi, andato via perché non considerato, adesso si vede escluso
Investire nel proprio futuro, partendo alla volta di “altri lidi”, è una soluzione che nessun giovane, di qualsiasi nazionalità, affronta a cuor leggero. Emigrare all’estero per lavorare è un’esigenza molto comune, quasi data per scontata oggi come oggi. Risulta quindi difficile invertire il trend, se come soluzione si propone una stretta sulle agevolazioni, unici presupposti per riconsiderare il rientro in patria. Le paghe “da fame” italiane, il non riconoscimento delle qualifiche professionali legate agli studi e i tempi estremamente dilatati per fare carriera sembrano, per il governo, motivazioni abbastanza valide per ritornare in patria. l’Italia “non è un paese per giovani” secondo i presupposti attuali, nemmeno se lavorativamente molto qualificati.
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