La casa museo al Checkpoint Charlie che testimonia l’unione fra Berlino Est e Ovest

La casa al Checkpoint Charlie: un inno all’unione sotto gli occhi di tutti di cui si parla troppo poco

Nella lista di ogni turista berlinese alle prime armi non può mancare una passeggiata al Checkpoint Charlie, ex punto di blocco che separava Berlino Est da Berlino Ovest. Tuttavia, pochi soffermano lo sguardo sulle architetture circostanti e ancora meno si domandano cosa sia quello strano edificio azzurro e grigio che ospita un museo. La casa del Checkpoint Charlie si trova all’incrocio delle strade Rudi-Dutschke Straße e Friedrichstraße ed è stata costruita da Peter Eisenman fra il 1985 e il 1986 in occasione dell’Esposizione internazionale dell’edilizia. Questa fu un’edizione particolare, perchè l’obiettivo non era solo quello di discutere le innovazioni architettoniche, ma anche affrontare temi sociali. Il motto dell’esposizione era infatti “Centro città come luogo dell’abitare”. L’architettura dall’aspetto piuttosto insolito è il risultato della fusione di due edifici. In questo modo, Eisenman voleva rappresentare l’unione fra le due parti della città, una volta separate. Dall’esterno è possibile vedere lo scheletro di entrambi. Da un lato la parte grigia, in cemento, marcata da linee rosse e dall’altro la parte più moderna, realizzata in vetro e acciaio. Il design di quest’ultima ricorda la proiezione di Mercatore, a griglia. Inoltre, il fatto che i due edifici non si allineino perfettamente all’angolo rappresenta i tumulti che hanno attraversato quelle zone urbane.

Video della casa al Checkpoint Charlie, video di Maddalena Carraro

Peter Eisenmann: una personalità enigmatica

Peter Eisenman è nato nel 1932 a Newark e si è laureato in architettura alla Columbia, per poi conseguire un dottorato alla Cambridge University. Una volta tornato negli Stati Uniti, ha fondato a New York l’istituto per l’architettura e gli studi urbani. A partire dal 1967, in seguito alla mostra collettiva tenutasi al Museum of Metropolitan Art di New York, diventa parte dei New York Five, un gruppo di architetti che prediligevano lo stile modernista. La sua architettura si concentra di più nel valorizzare l’idea rispetto alla funzione e vuole spogliare la costruzione dalle limitazione della fisica, abbandonando tutti i metodi tradizionali. Questo significa che una colonna non deve per forza fungere da supporto e un tetto non deve a tutti i costi fornire riparo. Per fare un esempio, racconta al  NYU Local, nel momento in cui una costruzione necessita di un solo supporto,  se se ne pongono due, uno di essi diventa superfluo. Così facendo, si crea un paradosso, altra questione centrale nel decostruttivismo, anche se lui non ama questo termine. “Non vivrei in nessun edificio che ho progettato” afferma. Due parole chiave nel suo pensiero sono “disorganizzazione” e “‘incomprensibilità”. Rendere le cose complesse e disorganiche permette alle costruzioni di rimanere aperte al processo naturale di evoluzione dell’ambiente che le circonda, secondo la sua filosofia.

Il Mauermuseum: storia e obiettivi

L’edificio oggi ospita un museo e un negozio di souvenir al piano terra, mentre ai piani superiori ci sono degli appartamenti . Nel negozio è possibile trovare vari gadget a tema Berlino, fra cui dei pezzi originali di muro. Attenzione però ai prezzi, perchè alcuni possono arrivare a costare anche 800 euro. Il museo aprì ufficialmente nel 1962 con la sua prima esposizione per volere della Arbeitsgemeinschaft 13. August eV. Quest’organizzazione fu fondata da Rainer Hildebrandt e ha preso il nome dalla data di erezione del Muro. La missione dell’associazione era la difesa dei diritti umani attraverso conferenze e pubblicazioni. Lo scopo del museo, invece, è quello di documentare le ingiustizie e violazioni operate da parte del Partito Socialista Unificato di Germania. Infatti, esso invita lo spettatore a battersi per la democrazia, sostenendo una linea di lotta non violenta. Nel 1948, a un convegno tenutosi presso il Titaniapalast, il cui slogan era “Anche non fare nulla è omicidio” Rainer Hildebrandt ha infatti affermato: “Il “Gruppo di combattimento contro la disumanità” si è posto l’obiettivo di indagare sistematicamente sugli innumerevoli crimini contro l’umanità. Almeno i sofferenti e i morenti dovrebbero avere una certezza: che il mondo sappia della loro agonia”.

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Immagine di copertina: Tramonto sulla casa al Checkpoint Charlie, foto di Maddalena Carraro