Klaus Barbie, storia dei crimini e del processo del boia di Lione
L’ascesa in Francia e la cattura in Bolivia di Klaus Barbie, il “Boia di Lione” responsabile della morte di 14.000 ebrei
Nikolaus Barbie è annoverato tra i nazisti più spietati. Le sue vittime, massacrate e torturate brutalmente, si aggirano intorno alle 14.000. Le sue efferatezze gli fanno meritare l’appellativo di “Boia di Lione”. Più Barbie uccide e tortura, più aumenta di grado nella Gestapo. La sua furia omicida non risparmia nemmeno 44 bambini, deportati e morti ad Auschwitz. Finita la seconda guerra mondiale, collabora con l’intelligence americana per poi fuggire in Bolivia, dove vive indisturbato per 20 anni. Klaus Barbie viene poi scovato e riportato in Francia, dove viene condannato al carcere a vita. Muore però dopo appena 4 anni di prigione.
La rinuncia agli studi e l’unione alle SS
Nikolaus “Klaus” Barbie nasce nel 1913 nei pressi di Bonn da una famiglia di insegnanti cattolici. Dopo la morte del padre, rinuncia al suo piano di iscriversi alla facoltà di teologia per unirsi invece al corpo della gioventù hitleriana nel 1933. Due anni dopo entra ufficialmente nelle SS e poi nella Gestapo. Il primo ruolo che ricopre è presso il Sicherheitsdienst, il servizio di intelligence nazista. Barbie svolge i primi incarichi in Germania, spostandosi da Treviri a Düsseldorf nel 1937, dove sorveglia le attività sospettate di essere anti-naziste. A seguito dell’occupazione tedesca dei Paesi Bassi e dell’instaurazione della repubblica di Vichy nel Nord della Francia, nel 1940 Klaus Barbie si trasferisce ad Amsterdam con l’incarico di Sturmführer (Luogotenente). Qui organizza e sovrintende la deportazione di migliaia di ebrei olandesi. L’uomo è responsabile della morte di oltre 14.000 persone, tra ebrei e membri della resistenza francese, torturati tramite elettroshock e/o amputazione di arti. Alcuni vengono uccisi solo perché, a detta sua, non lo avevano salutato con sufficiente garbo.
L’origine del soprannome “Boia di Lione” ed il periodo francese
Tuttavia, è durante il periodo francese che Barbie si distingue per i suoi crimini più efferati. Nel 1942 assume l’incarico di capo della Gestapo a Lione, dove si guadagna il soprannome di “Boia di Lione”. Klaus Barbie interroga e tortura sistematicamente le sue vittime all’Hotel Terminus. In questo albergo tortura anche Jean Moulin, eroe della resistenza francese. Per ben tre settimane, il partigiano viene segregato e torturato fino alla sua morte, nel luglio del 1943. Barbie non riesce però ad estorcergli alcuna confessione. Il boia raggiunge l’apice della sua brutalità a Izieu, nel sud della Francia. Nell’aprile del 1944 ordina la deportazione ad Auschwitz di 44 ragazzini tra i 4 e 17 anni, che vengono sterminati nelle camere a gas.
Nel 1944, la partigiana Lucie Aubrac riesce a raggirare Klaus Barbie mettendo in salvo sé, il figlio che porta in grembo e il marito. Lucie milita nella resistenza francese insieme al marito Raymond, che, però, viene catturato insieme a Jean Moulin, uno dei maggiori esponenti della resistenza francese. Vantando finte origini nobili, Lucie riesce ad ottenere il permesso di sposare Raymond e sfrutta l’occasione per organizzare la fuga del marito e di altri prigionieri. L’accaduto consacra così Lucie Aubrac a mito nella storia della resistenza francese.
La collaborazione di Klaus Barbie con l’intelligence americana
Nel luglio del 1944, Klaus Barbie scappa da Lione e raggiunge nuovamente la Germania, dove combatte fino alla capitolazione del regime nazista. Il suo nome compare ben presto nel registro CROWCASS, contenente la lista degli indagati per crimini di guerra. Klaus Barbie viene anche arrestato per ben due volte, senza però essere mai identificato. Si trasferisce quindi a Marburgo, dove, nel 1947, inizia a collaborare con il CIC, corpo d’intelligence americana, per indagare sulle attività clandestine di gruppi comunisti tedeschi. Nel 1949, il governo francese richiede la consegna di Barbie, così da condannarlo per i suoi crimini, ma il CIC decide di non concedere alla Francia la custodia dell’uomo, temendo che quest’ultimo possa fornire troppe informazioni sulla loro attività segreta.
La latitanza, la cattura in Bolivia e la morte di Klaus Barbie
Due anni più tardi, grazie all’aiuto della CIC, Klaus Barbie e la sua famiglia ottengono un visto per fuggire in Bolivia. Qui l’uomo avvia anche un’attività commerciale sotto il falso nome di Klaus Altmann, ma nel frattempo il governo francese lo condanna a morte in absentia. Dopo vent’anni di latitanza, viene ritracciato nel 1971 in Perù da Serge e Beate Klarsfeld, che sono sulle tracce dei fuggitivi nazisti. Klaus riesce però a rimanere in Bolivia, dove gode della protezione del regime fino alla sua caduta. Nel 1983, il nuovo governo boliviano estrada Barbie in Francia, dove inizia il processo a suo carico per i crimini commessi durante la sua attività a Lione. Cruciale durante il processo è la testimonianza di Sabine Zlatin, la donna che gestiva la casa di Izieu, dove erano ospitati i ragazzini poi deportati. Al termine del processo, nel 1987, Klaus Barbie è condannato all’ergastolo per reati contro l’umanità, in primis per i rastrellamenti di ebrei. Muore nel 1991 a causa di un tumore, senza mai aver rinnegato la sua partecipazione ai crimini delle SS.
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