Wirtschaftswunder, la storia (in breve) del miracolo economico tedesco del secondo dopoguerra
Cosa fu davvero il Wirtschaftswunder: l’epoca del miracolo economico della Germania Ovest seguito agli orrori del nazismo
L’espressione Wirtschaftswunder (miracolo economico) fu utilizzata per la prima volta dal giornale Times nel 1950 e si riferisce allo straordinario sviluppo economico attraversato dalla Germania nel secondo dopoguerra. L’espressione sottintende un certo senso di meraviglia dovuto alle tragiche condizioni in cui versava l’ex Terzo Reich alla fine del conflitto globale. Città devastate, popolazione dimezzata, industrie fallite e un senso di colpa nazionale per le atrocità commesse. Come e quando partì il Wirtschaftswunder? Il primo fondamentale fattore fu la reintroduzione del marco tedesco nel 1948, così come dello scellino in Austria. Un periodo di bassa inflazione e rapida industrializzazione seguì a questa decisione. Il modello economico adottato dalla Germania Ovest fu l’economia sociale di mercato, secondo le teorie dell’ordoliberalismo. L’ordoliberalismo fu l’ideologia economica ufficiale della Germania occidentale e divenne, nel 1990, l’idea economica dietro all’unificazione del paese. Creare una Soziale Marktwirtschaft, un’economia sociale di mercato (espressione quasi ossimorica), fu il telos della Germania Ovest e un perno fondamentale nella fondazione del paese. Gli economisti della Soziale Markwirtschaft come Walter Eucken, Hans Großmann-Doerth e Leonhard Miksch lavoravano alle loro idee già dagli anni ’30 ma fu solo con la nascita della Germania Ovest che esse furono riconosciute come valide e centrali per la stabilizzazione del paese. A realizzare le loro idee fu Ludwig Erhard, Ministro dell’economia dal 1949 al 1963 sotto il Cancelliere Adenhauer e vero artefice del Wirtschaftswunder. L’economia sociale di mercato è una teoria che modera gli aspetti più aggressivi dell’economia di mercato, limitando lo spazio per le critiche da sinistra del sistema capitalista.
Il benessere per tutti
Erhard è ricordato come l’uomo del “benessere per tutti”. Egli fu sempre molto attento nel comunicare alla popolazione il senso delle sue riforme e a farsi apprezzare dai tedeschi. Quando fu introdotto il Marco, al posto della moneta nazista, seguì una liberalizzazione dei prezzi e uno sviluppo della concorrenza. Le merci tornarono ad affollare gli scaffali dei negozi e i monopoli dell’industria ex-nazista furono contrastati a livello legale. Gli americani supportarono lo sviluppo di un’economia di mercato in Germania sia a livello ideologico sia con aiuti pratici. Tuttavia, il Piano Marshall non fu così decisivo a livello economico: se gli aiuti furono sostanziali, altrettanto lo furono le riparazioni di guerra che la Germania finì di pagare solo nel 1971. Un’altra caratteristica importante del Wirtschaftswunder fu l’abbassamento della tassazione. Quella riferita ai salari passò dall’85% al 18% e furono considerati stipendi alti solo quelli superiori ai 250.000 marchi.
Criticità del Wirschaftwunder
Il Wirtschaftswunder è stato sottoposto ad un processo di critica negli ultimi vent’anni. L’applicazione delle teorie ordoliberaliste alla Germania riunificata prima e all’Unione Europea poi hanno ampliato il numero dei detrattori di queste idee. Se il Wirtschaftswunder è la prova del successo dell’ordoliberalismo, i critici di questa teoria economica non possono che opporsi al mito del miracolo economico tedesco. L’idea stessa di economia sociale di mercato implica che il mercato sia già sociale: non sono quindi necessari sindacati o contrattazioni salariali. Il Ministro Erhard era particolarmente avverso al sindacalismo. L’ordoliberalismo si basa sui prezzi bassi delle merci che favoriscono l’export: questo non può che derivare dai salari bassi tra la maggior parte dei lavoratori. Infine, l’idea del Wirtschaftswunder alimenta un mito della Germania forte e autonoma, in grado di andare avanti più veloce del resto d’Europa. Un’idea che influenza gli equilibri dell’Unione ancora oggi con il mito della Germania “locomotiva d’Europa”.
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Immagine di copertina: Pixabay