L’eccezionale murale che dal 1985 lega il Nicaragua a Berlino (Est)
Un incredibile murale collega il quartiere Lichtenberg al Nicaragua
E’ difficile non riconoscere questa gigantesca opera di street art. Alta cinque piani, larga 2745 m², variopinta e brillante. Stiamo parlando del murale di Lichtenberg, un lavoro che ha una storia altrettanto interessante. Il murale rappresenta un villaggio del Nicaragua, all’apparenza tranquillo e immerso nella sua vita tropicale. Ma guardando meglio ci accorgiamo che un aereo da guerra vola in lontananza, dei soldati occupano le case e alcuni cadaveri sono sparsi per terra. Il villaggio rappresentato è Monimbó, il primo centro abitato nicaraguense ad essersi sollevato nel 1978 contro la dittatura fascista della dinastia Somoza. Ma come è finito nella capitale tedesca?
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Un luogo simbolo della libertà dei popoli
A Monimbó morirono 343 abitanti indigeni ma il loro sacrificio non fu vano: nel 1979 la dittatura venne cacciata dal paese. Tra i sopravvisuti c’era Manuel García Moia, che sarebbe diventato uno dei pittore più celebri del suo paese. Nel 1985, la DDR commissionò un’opera per il distretto di Lichtenberg, allora appartenente a Berlino Est. Quando quattro anni dopo la Germania Est crollò, solo l’incrollabile affetto dei cittadini per questo murale lo risparmiò dalle distruzioni e dalle speculazioni dei privati. E i berlinesi non hanno mai smesso di lottare per quest’opera. Nel 2004, ne hanno parzialmente finanziato i lavori di ristrutturazione e poco tempo dopo lo hanno difeso dagli atti di vandalismo di gruppi fascisti. Di nuovo nel 2011, dopo un parziale crollo, gruppi di cittadini, con il supporto del pittore Moia e dell’ambasciatore del Nicaragua, hanno nuovamente sistemato quest’opera d’arte. La piazza è stata infine dedicata al villaggio nicaraguense e nominata Moninbó Plaza. Un luogo simbolo della giustizia e della libertà dei popoli in tutto il mondo.
Una storia gemella: il mosaico di Erfurt
Erfurt è una città antica, capitale della Turingia e anch’essa parte della DDR. Quando la Repubblica Democratica, nel secondo dopoguerra, era impegnata nel costruire centinaia di abitazioni per i suoi cittadini chiamò un artista per decorare questi edifici tutti uguali. Il suo nome Joseph Renau (1907-1982), pittore modernista spagnolo, comunista militante, esule dal suo paese in seguito alla dittatura franchista. Renau realizzò uno spettacolare mosaico ad Erfurt, dedicato al rapporto tra uomo, natura e tecnologia. Colorato come quello di Moia ma dal tocco più astratto, questo capolavoro ricopriva il nuovo centro culturale della città tedesca con le sue grandi dimensioni: 7 metri di altezza e 30 di larghezza (!). Sopravissuto ai primi anni post-DDR, quando i lasciti della Germania divisa venivano sistematicamente cancellati, il mosaico di Erfurt venne distrutto nel 2012 per fare spazio ad un centro commerciale. Ma grazie all’amore degli abitanti questo straordinario lavoro è stato ristrutturato grazie ad un minuzioso e complesso lavoro. Così dopo 4 anni di duri sforzi, finalmente nel gennaio 2020 questo simbolo della solidarietà internazionale rivivrà. Due storie parallele, lungo la ex Germania Est, ci dimostrano il valore senza tempo dell’arte e della libertà.
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Immagine di copertina: Foto di Gabriele Senft.