Berlin-Photobooths: è il nome dell’ultimo progetto del fotografo italiano Federico Marin, celebrazione dell’analogico e della sua resistenza al tempo
Federico Marin lavora come fotografo freelance appassionato di street photography, vive a Treviso, ma ha una passione per Berlino. Di tanto in tanto ci torna per visitare i suoi amici e da uno dei numerosi viaggi è nato il suo primo fotolibro, dal titolo Berlin-Photobooths. Un progetto personale, che immortala tutti i Photoautomat della città, le famose cabine per fototessere berlinesi, diventate ormai un fenomeno di costume nella capitale tedesca. «Prendendo spunto dal movimento fotografico di archeologia industriale della Scuola di Düsseldorf sviluppato da Bernhard e Hilla Becher, il volume documenta il fenomeno, cercando di restituire l’esperienza della ricerca e dell’uso delle cabine stesse», ci spiega Federico. «In un’epoca in cui la tecnologia entra quotidianamante nelle nostre vite, la mia è un’ode alla fotografia analogica, alla sua lentezza e imprevedibilità, alla sua estetica unica, che tutt’ora resiste e influenza la cultura digitale».
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Una guida alternativa: Berlino attraverso la sua lente
«Nonostante l’iniziale intenzione di realizzare questo progetto insieme ai fondatori di Photoautomat, che ho incontrato più volte, ciò non è stato possibile. Per questo motivo ho preferito dare un taglio più personale al libro: l’idea è che diventi una “guida alternativa” di Berlino, concepita dal punto di vista di chi, cercando tutte le cabine, alla fine si ritrova a visitare l’intera città. Di conseguenza il progetto, oltre a cabine e fototessere, contiene dei panorami urbani scattati durante le ricerche». «L’idea del progetto è nata dal mio amore per la fotografia analogica e dalla sua estetica. Mi trovavo a Berlino e affascinato da queste cabine ho deciso di immortalarle». Un’idea non facile, ci tiene a puntualizzare: «al momento della realizzazione sono stati fotografati tutti i Photoautomat seppur con non poca fatica, dal momento che alcune si trovano nei club, in cui vige la politica no photo. Inoltre, le cabine sono state riprese così come le trovavo, con qualsiasi oggetto nelle vicinanze». Fedele al suo amore per l’analogico, Federico ha scattato tutte le foto con una macchina medio formato a pellicola.
La preziosa testimonianza di Berlin-Photobooths
«La mia cabina preferita è sicuramente quella in Warschauer Straße, che è l’unica cabina analogica a colori operante in Europa. Ma purtroppo, la carta fotografica positiva a colori non viene più prodotta e, data la scorta limitata, probabilmente dovrà essere dismessa entro un anno o due. Una seconda che mi è particolarmente a cuore, è quella dell’immagine 02: una cabina di origine spagnola dall’estetica simil-legno». Nel libro compaiono anche cabine recuperate in Italia, e moltissime altre. «Sono 33 in totale, quelle operanti in città nel 2018, ne ho avuto conferma anche dai fondatori del progetto» e Federico le ha raccolte tutte nel suo lavoro, non escludendo i luoghi dove non sono più presenti, come in Rosenthaler Platz. «Qui è iniziato tutto, probabilmente per gioco. I due fondatori (uno dei quali è carpentiere e grande appassionato di fotografia) hanno restaurato e sistemato la prima cabina, e l’hanno posta lì nel 2004», ci racconta.
Non solo Berlino
I celebri Photoautomat non si trovano solo a Berlino, ma sembra che la moda si sia diffusa anche ad Amburgo, Colonia, Lipsia e Vienna. A Firenze ci sono alcune cabine, e oltreoceano il fenomeno è altrettanto presente. Ma in nessuna città come a Berlino sono così numerose, probabilmente perché i turisti, la vita notturna e il fatto che il progetto sia nato proprio qui, contribuiscono a mantenerle in vita. Inoltre le cabine richiedono una costante gestione (la ricarica di chimici e di carta), responsabilità che non tutti sono disposti ad assumersi.
Berlin-Photobooths, tuttavia, celebra solo Berlino, i suoi angoli nascosti, la sua unicità, il suo passato. Se condividete la stessa passione, potete acquistarlo
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