Öndög è uno dei film più belli della Berlinale
Ambientato in Mongolia, il nuovo film del già Orso d’oro Wang Quan’an è un invito a riflettere sulla condizione umana
Durante la terza giornata della Berlinale è stata presentata in anteprima mondiale la nuova pellicola del regista cinese Wang Quan’an intitolata Öndög, che in lingua mongola vuol dire “uova di dinosauro”. Il lungometraggio segna il ritorno sulle scene del regista dopo un’assenza di circa otto anni. Il cast è formato da attori principianti, che sono: Dulamjav Enkhtaivan (Hirtin), Norovsambuu Batmunkh (giovane poliziotto), Gangtemuer Arild (commissario).
Öndög: la trama
Nel bel mezzo della steppa mongola viene ritrovato da un gruppo di cacciatori il cadavere di una giovane donna. La polizia, allertata, interviene sulla scena del crimine ma, per motivi tecnici, il corpo non potrà essere prelevato prima del mattino seguente. Il commissario, dunque, affida al neo-poliziotto diciottenne di farne da guardia affinché i lupi non divorino il cadavere. Il giovane però, non sarà del tutto solo. La polizia ha infatti affidato il ragazzo alla mandriana trentenne Hirtin soprannominata nel villaggio “la dinosaura”. La donna conosce bene sia il territorio sia come spaventare i lupi. I due, quella notte, dopo aver acceso un falò e aver bevuto dell’alcol finiscono col fare sesso. Il giorno seguente, però, entrambi si comportano come se nulla fosse accaduto ritornando così ciascuno alla propria vita.
Il film di Wang Quan’an è una stupenda “Dramcomedy”
Pur avendo una narrazione molto lenta Öndög si rivela nel complesso essere un piccolo capolavoro. Nel film dramma e commedia si intersecano. I dialoghi, infatti, pur essendo sporadici, hanno un’ironia tagliente che ci permette di delineare un profilo psicologico dei personaggi: il giovane poliziotto è un diciottenne insicuro che viene spesso deriso e preso di mira dai suoi superiori più anziani. La mandriana, invece, dimostra fin dall’inizio del film di avere un carattere scontroso e arrogante ma, alla fine, scopriremo che essa stessa ha un lato dolce e gentile.
Grazie ad una stupenda fotografia Wang Quan’an fa si che lo spettatore sia letteralmente immerso nella deserta e austera steppa mongola e ci mostra fin da subito le creature feroci che la dimorano, siano queste lupi affamati o esseri umani. Proprio così, nel film gli uomini si comportano come bestie, comandati da impulsi animaleschi commettono omicidi, sgozzano agnelli a mani nude e si accoppiano. Il tutto riconduce ad un tema ben preciso: la lotta alla sopravvivenza, argomento tratto per altro anche in altre sue pellicole, quali: Il Matrimonio di Tuya con cui vinse l’Orso d’Oro nel 2006 e White Deer Plain, con cui vinse l’Orso d’Argento nel 2011.
La morte in Öndög è dunque in secondo piano, o meglio, è una comparsa sullo sfondo e niente più. Gli stessi protagonisti si comportano come se il cadavere non ci fosse. Il giovane poliziotto, ad esempio, combatte la noia ballando sulle note di Love me Tender di Elvis Presley proprio accanto al cadavere e lo stesso succede nella scena dell’atto sessuale tra i due protagonisti che si compie proprio a pochi metri dal corpo.
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