Omosessuale dichiarato, soldato nazista e pioniere della body-art: l’incredibile storia di Albrecht Becker
Alla scoperta di Albrecht Becker, tedesco dalle mille vite tutte fuori dal comune
Conoscendo la storia di Albrecht Becker, può sembrare impossibile che un uomo come lui sia riuscito a sopravvivere alle epurazioni naziste. Invece morì a quasi cento anni, continuando, per tutta la vita, a portare avanti la sua attività di fotografo. Dichiaratamente omosessuale e amante delle pratiche BDSM, le sue ricerche sul tatuaggio e sulle modificazioni corporee iniziarono proprio durante gli anni del regime, scontrandosi con quell’idea di purezza e bellezza della figura umana che i nazisti tanto ossessivamente ricercavano. Nessun comandante dell’esercito del Reich avrebbe potuto sospettare che tali pratiche che distruggevano quell’idea di perfezione stessero avvenendo proprio sotto il loro naso.
Fino al 1934 essere omosessuale nella Germania nazista non era visto come un crimine punibile
Becker nasce a Thule, piccola cittadina nello stato della Sassonia nel 1906. A 18 anni si trasferì a Würzburg, dove potè vivere liberamente la propria sessualità. Qui si innamorò e iniziò una relazione con un uomo di vent’anni più vecchio di lui, Joseph Arbert. Nella città bavarese svolse alcuni lavoretti e, con i primi guadagni, riuscì a comprarsi la sua prima Leica, con cui cominciò la sua attività di fotografo, passione che non lo abbandonò mai per tutta la sua vita. Viaggiò in lungo e in largo per il mondo, visitando Spagna, Italia e Stati Uniti, rimanendo fuori dalla Germania per parecchi anni. Ma la nostalgia della madrepatria era talmente forte che Becker decise di ritornare a Würzburg nel 1934. In realtà, fino a quel momento, essere omosessuale nella Germania del Terzo Reich non era visto come un crimine e, nonostante potesse essere malvisto dalla società, fatto che, se riflettiamo, può avvenire anche nei giorni nostri, i gay non venivano perseguitati. Questo perchè Ernst Röhm, gerarca nazista a capo delle SA, era notoriamente un omosessuale. Ma la situazione cambiò drasticamente dopo la Notte dei Lunghi Coltelli, la nota epurazione voluta da Adolf Hitler, in cui vennero massacrati, tra gli altri, i vertici delle SA, compreso Röhm.
Una legge volutamente dimenticata contro gli omosessuali venne di nuovo reintrodotta e anche Albrecht Becker ne divenne vittima
Da quel giorno anche gli omosessuali tedeschi vennero perseguitati, imprigionati e, il più delle volte, uccisi. Hitler rispolverò il tristemente noto Paragrafo 175, articolo del codice penale tedesco in vigore dal 1871, in cui veniva condannata la ‘fornicazione tra uomini’, pena la reclusione. Inoltre modificò la legge, paragonando i rapporti omosessuali a quelli tra uomini e animali. In questo contesto, nel 1934, Becker venne arrestato dalla Gestapo. Durante l’interrogatorio, quando gli chiesero se fosse vero che fosse omosessuale, Becker dichiarò tranquillamente «certo che lo sono, tutti in città lo sanno». Ironicamente è probabile che il fatto di aver subito dichiarato il suo orientamento e di non aver mentito gli abbia salvato la vita e fu solamente condannato a tre anni di carcere. Altri omosessuali come lui, di cui Becker fece ingenuamente i nomi durante il processo, invece, vennero deportati e uccisi nei campi di concentramento. Uscito di prigione venne costretto, nel 1940, ad aderire alla Wehrmacht e a partire per il fronte russo. È proprio qui che Becker cominciò le sperimentazioni, anche estreme, sul proprio corpo.
La ricerca artistica sul suo corpo nacque mentre combatteva per l’esercito nazista in Russia e si rivelò da subito estrema e dolorosa, ma spalancò le porte alla Body-Art contemporanea
In Russia Becker ci rimase per 4 anni, fino al 1944. In tutto questo periodo non ebbe mai nessun tipo di rapporto con un uomo, consapevole di rischiare ancora di finire in carcere, ma scoprì che un’altra cosa lo eccitava terribilmente: il dolore fisico. Nel bunker in cui i soldati erano costretti a vivere Becker comincio a tatuarsi, usando aghi da cucito e inchiostro. Il suo primo tatuaggio furono delle fiamme, in un posto abbastanza curioso: il suo pene. Si rese subito conto che, questa strana pratica, riusciva a fargli raggiungere il massimo piacere fisico, tanto che, anni dopo, ha ricordato che «ero lì sdraiato, mi sono tatuato, e poi ho raggiunto l’orgasmo. Gli altri erano poco lontano e giocavano a carte. L’ho trovato strano e divertente». Da quel giorno il corpo di Becker diventò una tela che venne ricoperta completamente da tatuaggi. Dopo la guerra si trasferì ad Amburgo, dove continuò la sua carriera di fotografo, soprattutto per documentare le trasformazioni del suo corpo. Nel corso degli anni diventò un apprezzato scenografo, insieme al nuovo compagno Herbert Kirchhoff, già direttore artistico di Amburgo. Ovviamente frequentò assiduamente anche il sottobosco sadomaso amburghese, continuando in una serie di pratiche, che, in questa sede, è meglio non descrivere, massacrando, soprattutto, il suo pene. Nel 2000, alla veneranda età di 94 anni, fu uno dei protagonisti di Paragraph 175, documentario narrato da Rupert Everett, in cui 5 omosessuali raccontavano la loro vita durante gli anni del nazismo. Alla sua morte Becker lasciò in eredità il suo archivio fotografico allo Schwulesmuseum, museo dedicato alla cultura LGBTQ nel centro di Berlino. Nonostante l’estremismo della sua ricerca artistica, il suo lavoro fu determinante per lo sviluppo di tutta la body art del XX secolo, con un’ influenza che, ancora oggi è riscontrabile nelle nuove generazioni di artisti.
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Immagine di copertina: Albrecht Becker da giovane ©Pubblico Dominio