«Io, mamma di figlio immigrato a Berlino, mi sento in colpa per aver sbagliato scelte fatte nel suo interesse»
La storia di Paulina Eugenia, mamma di Adry, dal 2015 a Berlino
«Per me è dura parlare di mio figlio. È una sconfitta». Paulina Eugenia Buzic sintentizza così la sensazione che da quando il figlio Adry ha deciso di vivere a Berlino. «Sono arrivata in Italia nel 1996 a 24 anni abbandonando la mia famiglia e decidendo di sacrificare l’infanzia dei miei figli per potere costruire qualcosa per loro in futuro».
La vita di Paulina Eugenia, dalla Romania all’Italia
«Sono nata nel 1972 in un paesino di campagna del sud della Romania a 40 km di Drobeta-Turnu Severin. È stata una fortuna perché nonostante la dittatura comunista di Ceausescu non ci mancava niente, a differenza di quanto accadeva nelle grandi città dove si viveva abbastanza male. Dopo aver finito il liceo, quando ormai il Muro era caduto quindi, ho messo su una piccola società per commercializzare pulcini, ne vendevo 10mila a settimana, due carichi da 5mila suddivise in scatole da 100. Andavo a rifornirmi al mercato di Bucarest e li rivendevo nei paesini. Nel frattempo studiavo e ho ottenuto una laurea breve in infermieristica. Mi sono sposata a 17 anni. Nel 1991 è nato Adry e a poco a poco ho cominciato a pensare che trasferirmi in Italia sarebbe stata la scelta giusta per regalargli un futuro. Dopo tre anni ho divorziato. Nel 1996 sono partita dalla Romania con mio cugino e sua moglie lasciando Adry con i nonni. Abbiamo attraversato i vari paesi dell’ex Jugoslavia e siamo entrati in Italia da Trieste prima in treno, poi in taxi e infine a piedi attraversando una montagna. Da lì ci sono diretti a Vibo Valentia, in Calabria dove mio cugino aveva un amico con un’officina di riparazioni di auto. Siamo rimasti lì un anno, sfruttati come altri clandestini. Facevo le pulizie nelle case private, 10mila lire a giornata. Nel frattempo si cominciò a parlare in Italia di una sanatoria, chi si sarebbe trovata in Italia a Luglio del 1998 sarebbe potuto rimanere e avere i documenti. A quel punto sono andata a prendere mio figlio in Romania, ma non solo lui, anche il mio ex marito, mio zio un altro mio cugino. Mi sono organizzata al meglio e ho rifatto lo stesso viaggio sia all’andata che al ritorno, riattraversando a piedi la montagna, compreso Adry che aveva solo 7 anni e si era portato la bici con sé così che nessuno pensasse che eravamo clandestini. Qualche mese prima avevo trovato lavoro a Campo di mare, frazione di Cerveteri. Dovevo prendermi cura di una signora anziana e dei quattro nipoti mentre suo figlio e la nuora lavoravano nella loro macelleria dalle 4 del mattino alle 9 di sera. Sono rimasta con loro pr cinque anni, ma nel frattempo, nel 1999, a Bracciano, era nato Andrei, frutto di una mia relazione con un uomo conosciuto quando ero a Vibo Valentia e con cui sono rimasta 12 anni. Nel 2001 da Cerveteri ci siamo trasferiti a Biella, in Piemonte. Non è stato facile, a Roma i romani mi facevano sentire una del posto, in Piemonte sono molto più freddi e da quando c’è la crisi ho cominciato ad avvertire anche un po’ di razzismo. Ho iniziato a lavorare in una casa di riposo, ma poco dopo mi sono lasciata con il mio compagno. Ho comprato una casa da restaurare facendo moltissimi sacrifici con tutti i miei risparmi. Nessun viaggio, nessuna vacanza. L’unico sollievo era una piccola piscina in mezzo alla terra. Nel 2010, con un altro uomo, è nata Nicol, mio terzo figlio. Adesso sono molto felice, anche se da sola».
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Vedere il proprio figlio lasciare casa e trasferirsi a Berlino
«Nel 2015 Adry ha scelto di andare a vivere a Berlino. Aveva 24 anni, la stessa età che avevo io quando lasciai la Romania. Dopo il liceo artistico non ha trovato nessun lavoro stabile o pagato il giusto e con i contributi, neanche da muratore. Faceva alcune serate da dj, la musica è la sua vita, ma non abbastanza da mantenercisi. Nel 2012 suo padre è morto in un incidente stradale in Sicilia. ne ha passate tante, davvero tante. Quando ha deciso di partire per Berlino ho sentito subito un vuoto dentro me. Era il 2 marzo. È stato un periodo molto difficile. Lui non trovava casa, non aveva un lavoro. Non aveva aiuti o persone a cui chiederlo. Praticamente praticamente tutto il mio stipendio andava a Berlino per aiutarlo ad affrontare le spese. A volte mi chiedeva anche solo 5 € e appena succedeva io correvo subito a versarglieli sulla sua PostePay. È stato terribile. Andavo in bici perché non avevo soldi per l’assicurazione dell’auto, risparmiavo su tutto. Nel giugno del 2017 sono finalmente andata andata a trovarlo. Sono salita nel mio camion da sette posti caricandolo con ogni tipo genere alimentare possibile. Ho guidato per 1140 chilometri. Non pensavo di essere più capace di fare certe cose. Una volta lì lui mi ha mostrato il suo mondo, la sua Berlino».
Berlino vista attraverso gli occhi di chi ha vissuto il comunismo
«Berlino, e in particolare Berlino Est, ha tanto in comune con la Romania. Mi piace l’atmosfera che vi si respira, cerco di tornarci una volta ogni tre mesi riunendo spesso tutta la famiglia. Soni andata a ballare con Adry, al Suicide Circus, al Tresor, al Ritter Butzke, all’About Blank. Non ballavo da quando avevo 18 anni. Stare con lui mi ha fatto risentire giovane. Nei club mi chiamano ogni tanto “la mamma”. Volevo capire il suo mondo. A Berlino spesso viene anche Andrei, è la nostra occasione per stare tutti assieme. Anche il mio secondo figlio infatti vive all’estero dal 2015. Ho visto due generazioni di ragazzi, ora adulti, che dopo aver finito l’università hanno pregato per avere almeno un lavoro da barista e così nel 2015 ho mandato Andrei a fare il liceo in Inghilterra, nella zona di Leeds, dove ho amici e dove spero che continui facendo l’università. Ha perso due anni a causa del trasferimento, mai suoi voti sono ottimi. Vuole fare medicina. Sono felice di entrambi, sia Adry che Andrei. Berlino e Leeds sono state le scelte giuste».
Il sogno di una mamma
«Adry ci ha messo tre anni per diventare completamente autonomo a livello economico. Ora lavora come pizzaiolo presso un conosciuto ristorante di Prenzlauer Berg, vicino al Mauerpark. Ogni volta che vado a trovarlo gli porto alcune delle cose che ha lasciato qui in Italia, pezzi della sua attrezzatura da dj o altro ancora, ma mai tutto perché la speranza è che torni, prima o poi. Nel frattempo io curo Nicol e da agosto scorso ho smesso di lavorare per problemi di salute, mi prendo cura giusto un’occhiata ogni tanto a Lorenzo, un bambino con un po’ di problemi. Non sono felice. Ogni mattina accendo la radio ed ascolto la musica di mio figlio. Mi sento viva solo quando sto con Andrei qui in Italia durante le sue visite e quando vengo a Berlino a trovare Adry, altrimenti mi sento morta. Nicol non riesce a coprire il vuoto. Mi sento spesso in colpa, che ho sbagliato. Il mio sogno, appena i miei figli si saranno stabilizzati economicamente o che siano abbastanza specializzati lavorativamente è che si possa vivere tutti almeno nella stessa città che sia Berlino, dove le università sono gratuite, o in qualsiasi altra parte del mondo».
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Nella foto di copertina Paulina con il figlio Andrei