Berlino, vandalizzato il monumento per le vittime dell’omocausto
Tra il 17 e il 18 agosto, il memoriale di Berlino per le vittime gay dell’omocausto è stato vandalizzato
Durante lo scorso weekend, tra il 17 e il 18 agosto 2019, il memoriale di Berlino riferito alle vittime gay durante l’omocausto è stato vandalizzato. Il memoriale fu ideato dagli artisti Michael Elmgreen e Ingar Dragset e la sua costruzione terminò nel 2008. Si trova al parco Tiergarten ed è molto vicino al monumento cittadino dedicato alle vittime ebree dell’olocausto. Quello per le vittime gay, stimate tra i 5.000 e i 15.000, è un imponente cubo con una piccola cavità dove i visitatori possono sbirciare e trovarci un collage fotografico di coppie gay che si amano. Durante il weekend la cavità e lo schermo video sono stati pitturati e oscurati. Le camere di sorveglianza erano disattive e la polizia non sospetta ancora di nessuno. [adrotate banner=”34″]
La triste storie dei gay durante il nazismo
Tra il 1933 e il 1945 furono arrestati dai nazisti 100.000 uomini, sotto il Paragrafo 175. Una legge che puniva atti omosessuali con fino a 6 anni di prigionia. Sempre esistita, la legge non fu ma mai davvero attuata prima dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Infatti la Berlino degli anni ’20 e ’30 era un centro cosmopolita e aperto a tutti. C’era anche uno dei primi grandi centri sullo studio dell’omosessualità, l’Istituto di Scienze sessuali, che nel 1933 venne chiuso e i libri, ritenuti degenerati, bruciati. Degli uomini arrestati, circa 50.000 furono condannati e tra i 5.000 e i 15.000 furono mandati nei campi di concentramento. Solo il 40 % riuscì a sopravvivere.
I maltrattamenti e la posizione nella scala gerarchica istituita nei campi di concentramento
Secondo lo storico specializzato sull’olocausto Rüdiger Lautmann, i prigionieri che vestivano una stella rosa soffrivano di particolari maltrattementi. Sia dalle guardie, che erano solite violentarli e sadomizzarli, sia dai dottori, che tentavano di “guarirli” iniettando loro testosterone di ormoni maschili e talvolta castrandoli, sia dagli altri prigionieri. Infatti, sempre secondo lo studioso, nei campi di concentramento vigeva una sorta di gerachia e gli omosessuali erano tra gli scalini più bassi. Le lesbiche non furono perseguitate in quanto ritenute utili dai nazisti al fine della procreazione.
Il tentativo di sterminio e la situazione post conflitto
Nel 1934 venne stabilita una divisione speciale per trattare la “questione omosessuali”. Nel 1936 Heinrich Himmler creò l’Ufficio centrale del Reich per combattere l’omosessualità e l’aborto. Sempre al capo delle SS, sono attribuite le seguenti parole: «Dobbiamo sterminare queste persone fino alla radice. Non possiamo permettere tale pericolo per il paese; l’omosessualità deve essere del tutto eliminata». Anche a guerra finita, la situazione non migliorò di molto. I prigionieri omosessuali prima detenuti nei campi di concentramento non vennero riconosciuti come vittime del nazismo e non ricevettero alcun risarcimento. Il paragrafo 175 rimase attivo nella Germania dell’Ovest fino al 1969.
L’Olocausto oggi
Negli ultimi anni la commemorazione dell’olocausto e dell’omocausto sta perdendo valore e stanno invece prendendo piede setimenti sempre più antisemitici e omofobi, sia in Europa così come negli Stati Uniti. A giugno 2019, per esempio, un uomo rovinò il memoriale dell’olocausto a Philadelphia, incidendo “SS” in grassetto e una svastica accanto.
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Immagine di copertina: Memoriale, © FranTravelStories, CC0 on Flickr