«Basta Berlino. Ecco perché, io, neuroscienziata di Pavullo nel Frignano, torno a fare ricerca in Italia»
Dalla provincia di Modena a Berlino e ritorno: ecco perché Claudia Gianelli ha deciso di tornare in Italia
«Rientro in Italia. Mi dispiace molto lasciare Berlino, una città che amo molto in cui mi sono trovata benissimo, ma dal punto di vista della ricerca in neuroscienze credo ci siano tante possibilità anche da noi. Il mio lavoro consiste nel capire cosa succede al cervello quando osserva azioni oppure ascolta frasi o testi che contengono parole relative all’esperienza motoria e sensoriale. Il mio obiettivo è quello di iniziare a lavorare con pazienti con disturbo del movimento e, attraverso una terapia ad hoc, riattivare le loro capacità di compiere attività motorie altrimenti a loro precluse». Claudia Gianelli, classe 1981, originaria di Pavullo nel Frignano, paese della provincia modenese, ha vissuto nella capitale tedesca per sette anni prima di decidere di rientrare. La sua storia accademica parte però da lontano, dalla Bologna dei fini anni ’90. «Mi sono laureata nel 2006 studiando prima Scienze della comunicazione e poi Semiotica. Da lì, grazie a Roberto Nicoletti sono entrata nel team coordinato da Anna Borghi, un gruppo di ricerca di psicologia cognitiva. È allora che ho iniziato a fare i primi esperimenti in laboratorio con uno studio sulla categorizzazione degli oggetti. Al tempo non lo sapevo, ma fu il mio primo contatto col tipo di ricerca di cui mi occupo oggi. Nel 2006 sono stata presa da Maurizio Gentilucci nel del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma per un posto da assistente, uno dei centri migliori a livello mondiale. Non a caso è lì che sono stati anche scoperti i neuroni specchio. Mentre lavoravo a Parma mi è stato accordato un dottorato internazionale a Bologna. Dopo un anno e mezzo mi sono trasferita a Lione. Ci sono rimasta poco più di un anno. E’ stata un’esperienza molto bella. L’ambiente era vario e pieno di persone con competenze diverse».
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Una ricercatrice italiana all’estero: il trasferimento in Germania
«Tornata in Italia, ho preso parte a un progetto internazionale finanziato dall’Unione Europea, ma cercavo un modo per andare via dall’Italia, Non ero soddisfatta delle opportunità che c’erano e volevo approfondire gli aspetti neuroscientifici della ricerca. Sono venuta a sapere che Martin Fischer dell’Università di Potsdam cercava collaboratori per TMS, stimolazione magnetica transcranica, una delle metodologia che più mi interessavano. Ho fatto domanda e a breve mi ho ottenuto la posizione e mi sono così trasferita a Berlino, pochi chilometri da Potsdam. Era il 2012 e ci sono rimasta fino ad oggi. Parallelamente ai progetti di ricerca di base, dal 2018 ho iniziato a collaborare con una startup berlinese che si occupa dello sviluppo di una terapia digitale per la depressione. Il mio interesse principale rimane la ricerca di base, ma questa esperienza mi è stata utile per valutare le possibilità della ricerca in ambito privato come alternativa alla grande competizione in ambito accademico.»
Rientrare in Italia dopo sette anni passati all’estero: cosa lascio e cosa trovo
«Sto per andare a lavorare allo IUSS, l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Da tempo mi guardavo intorno per cercare nuove opportunità per dedicarmi alla ricerca universitaria in Italia. L’idea è che questa posizione mi dia modo di testare l’applicazione clinica dei miei studi». Rientrare a casa dopo una lunga assenza non è però facile o scontato. «Della Germania mi mancherà certamente la possibilità di accedere indipendentemente a diverse opportunità di finanziamento, l’italia però per il mio ambito di ricerca è all’avanguardia e ormai sono stanca di fare la ricercatrice all’estero. Vorrei provare a sfruttare la mia esperienza internazionale per provare a cambiare la percezione della ricerca che c’è nel nostro Paese. Manterrò sicuramente i rapporti con la Germania, potrei sempre tornare, ma solo come “seconda scelta”».
Gli studi di Claudia Gianelli
«Nel primo laboratorio dove ho iniziato a lavorare mi occupavo di analisi del movimento. Presentavamo alle persone degli stimoli sullo schermo e chiedevamo loro di rispondere a questi facendo dei movimenti per poi analizzarli scomponendoli nei loro componenti. Lo scopo era quello di raccogliere informazioni relative alle proprietà mostrate sullo schermo e capire come il cervello le aveva elaborate. I parametri dell’azione mutavano in base al movimento e all’oggetto che avevi appena visto. Viene chiamata risonanza motoria: tu suoni in base al movimento appena visto. La cosa interessante è che anche mentre osservi le altre persone afferrare qualcosa o se anche solo senti parlare di queste azioni, attivi le stesse proprietà motorie necessarie ad attuare il reale movimento.Questo processo viene chiamato “risonanza motoria”. Attraverso la stimolazione cerebrale o le registrazioni EEG possiamo studiare come questo processo di risonanza motoria si sviluppa nel cervello dell’osservatore o dell’ascoltatore. Le implicazioni di questi processi sono molteplici, dalle interazioni sociali fino a possibili applicazioni cliniche. Una possibile applicazione clinica è quella del cosiddetto “action observation treatment” che attraverso l’osservazione e ripetizione di azioni punta a riabilitare le capacità motorie di pazienti con disturbi del movimento. La possibilità di traduzione fra la ricerca di base e le applicazioni cliniche è proprio quello di cui mi occuperò a Pavia».
Per sapere di più dell’attività di Claudia Gianelli consultate il suo sito.
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Immagine di copertina:© CC0